ESTATE DI CLASSICI – “SE PERMETTETE PARLIAMO DI DONNE”, ETTORE SCOLA: COME STA LA COMMEDIA? 

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di Mariantonietta Losanno

IMG 2488 1 300x159 ESTATE DI CLASSICI   “SE PERMETTETE PARLIAMO DI DONNE”, ETTORE SCOLA: COME STA LA COMMEDIA? Se il titolo può alludere al cinema di Pietrangeli, maestro di ritratti femminili, la struttura narrativa (e concettuale) di Se permettete parliamo di donne fa riferimento a I mostri di Dino Risi. Quanto al soggetto, certo, si parla di donne, ma il filo conduttore è un altro, riassumibile in uno slogan/frase di lancio: «A tutto Gassman». L’esordio registico di Ettore Scola è un film a episodi – sottogenere per eccellenza della commedia anni Sessanta – in cui si alternano momenti di umorismo ad “oscenità” compiaciute. Si succedono “uomini d’onore” a “svergognate”.

Scola – come abbiamo detto – costruisce i suoi personaggi secondo la lezione di Pietrangeli ma accettando, come Risi, un cinismo fin troppo sfacciato. «Il mondo è tondo, e chi non sa stare a galla va a fondo», dice Ugo Tognazzi ne I mostri. Per non affogare, allora, le donne (di Scola) devono sacrificarsi almeno per i loro mariti. È così che dice a sé stessa, ad esempio, la moglie (impaurita) protagonista del primo episodio, che, equivocando le ragioni della visita di un amico del compagno, gli si concede. Donne “virtuose”, continuamente sbeffeggiate. In fondo le donne – o meglio “noi donne”, come titola un altro film di Dino Risi – sono fatte così. Sono riconoscenti, amorali, corruttibili. Fanno le “difficili”, ma solo per provocare gli uomini. E Scola vuole conoscere ogni loro sfumatura; le oscillazioni dei suoi film, infatti, ora verso la farsa, ora verso il dramma, hanno come premessa – e promessa – l’itinerario della commedia nelle sue più variegate espressioni, nobili e meno nobili. Riassumerle è necessario prima di abbandonarle.

Tutt’altro che un esordio in sordina, allora, quello di Ettore Scola, accompagnato da un lusinghiero successo di pubblico e da feroci stroncature da parte della critica. Tullio Kezich parlò addirittura di «un’antologia di barzellette sceneggiate, dove il Mattatore appare ripetutamente in mutande, si abbottona i pantaloni, impreca, mangia facendo rumore con la bocca, palpeggia le donne» (Il film Sessanta, Tullio Kezich, 1979). E altro ancora. Se, però, proviamo ad andare oltre le “sgarbataggini”, troviamo qualche tratto più consapevole e meno supponente. Se permettete parliamo di donne “informa” sull’alienazione con una lucidità maggiore (persino) di un film di Antonioni; ritrae, infatti, una società che si sfrena nel possesso di cose, che sfoga i suoi istinti profondi nell’umiliazione della donna ridotta ad oggetto, che consuma i momenti di “baldoria” senza luce di pensiero né – figuriamoci – di poesia.

IMG 2488 300x159 ESTATE DI CLASSICI   “SE PERMETTETE PARLIAMO DI DONNE”, ETTORE SCOLA: COME STA LA COMMEDIA? Insistere sulle “virtù” degli italiani (medi), aiuta Scola, ad aprire – e far aprire – gli occhi e a fare i conti con queste “mostruosità” raccontate – in modo irriverente – come pregi. La pellicola procede in maniera diseguale, alternando momenti di comicità ad altri più impegnati. A tanti anni di distanza, è importante – naturalmente – non lasciarsi influenzare dal comune (di allora) senso del pudore, per concentrarsi sulla denuncia, ancora non tanto efficace come si concretizzerà nelle successive pellicole. L’opera prima del regista di C’eravamo tanto amati, infatti, più che eccessiva, è eccedente. Sovrabbondante. Se permettete parliamo di donne sembra – quasi – il tentativo di svelare l’insignificanza di tante cose per recuperarne altre, ritenute per tanto (troppo) tempo di secondaria o addirittura infima importanza: il vissuto, la quotidianità, l’enorme complessità del particolare, dell’elemento cronachistico, intimo. I primi(ssimi) contributi di Scola rimangono di difficile individuazione, concepiti a rimorchio dell’attore di grido, della canzone del momento o dell’argomento del giorno. È a partire da questi film (Se permettete parliamo di donne e La congiuntura, in particolare), però, che Scola sviluppa le sue “situazioni”, scoprendo le diverse occasioni drammatiche. Approfondisce, cioè, il proprio pessimismo di fondo, rovesciandolo costantemente nel suo opposto; nella rappresentazione, cioè, di un’umanità che – pur “mostruosa” – sa godere dell’effimero e del quotidiano.

Alla domanda “chi sono i nuovi mostri?” Scola saprà fornire una diversa e più aderente chiave di lettura ne La terrazza, un’opera che pullula di falliti (alcuni forbiti e eleganti, con le idee giuste e al posto giusto), opportunismo, vittimismo e autocommiserazione. Più che Cinema di denuncia, allora, sarebbe meglio definirlo Cinema di “constatazione”.