ESTATE DI CLASSICI – “LA NOTTE”, MICHELANGELO ANTONIONI: UNA DEGENERAZIONE ESISTENZIALE 

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di Mariantonietta Losanno 

%name ESTATE DI CLASSICI   “LA NOTTE”, MICHELANGELO ANTONIONI: UNA DEGENERAZIONE ESISTENZIALE Tutto quello che c’era prima, tutti gli altri personaggi, tutte quelle cose che arricchivano il soggetto, spariscono. Restano solo i due protagonisti, nudi come li vediamo. Antonioni elimina tutto per lasciare che la storia abbia il suo intero corso e che addirittura raggiunga – se possibile – una “suspense interna”, che non abbia più legame con l’esterno se non attraverso le azioni dei personaggi, che corrispondono – poi – ai loro stessi pensieri e alle loro angosce. 

Antonioni è un autore difficile. Lo è stato (e lo è) per sé stesso, come testimoniano le costanti difficoltà da lui incontrate con i produttori, ai quali il suo rigore ha sempre dato fastidio; lo è stato per gli apparati repressivi sociali, come la censura, perché ha toccato di frequente i punti deboli che la rete dei “valori” copriva. Lo è stato per il pubblico, con il quale non ha mai avuto un contatto semplice, e che ha conosciuto – anzi – “vuoti” clamorosi (basti pensare all’accoglienza decisamente ostile riservata alla proiezione a Cannes de L’avventura, quando il regista aveva già, si può dire, i suoi bravi titoli di merito). Ed è stato un autore difficile per la critica; non si può dire, infatti, che il riconoscimento della sua “novità” sia stato immediato. Quando il sentore di novità si è però diffuso, sono giunti anche, puntuali, gli “scolari”, e la “scolastica antonioniana” ha avuto il suo successo. Antonioni è uno dei registi sui quali si è scritto di più. Tracciare un suo profilo – un altro – comporta dei rischi (il rischio non è inerente all’operazione critica?); c’è sempre la tentazione di stabilire una serie di punti fissi e definizioni sicure, di stilare bilanci. Nulla è più improduttivo di un’operazione del genere, soprattutto per un autore che ha voltato le spalle alle tendenze dominanti ed ha ostinatamente sviluppato una sua ricerca personale, assumendosene, nel bene e nel male, la piena responsabilità. 

%name ESTATE DI CLASSICI   “LA NOTTE”, MICHELANGELO ANTONIONI: UNA DEGENERAZIONE ESISTENZIALE La notte rappresenta l’evoluzione della ricerca formale rispetto ai film precedenti. Appaiono lentamente, soprattutto in alcuni tratti, le tipologie di immagini che rendono i film della “trilogia dell’incomunicabilità” (L’avventura, La notte, L’eclisse) facili da identificare, in cui la messa in scena include anche spazi non visibili all’interno dell’inquadratura, ma che si rendono percepibili ugualmente. Antonioni si spinge lentamente oltre, cercando nuove modalità di sguardo, soprattutto sul mondo e i personaggi che lo abitano. Quello che pervade tutto il film (oltre al vagare distratto e senza scopo dei protagonisti, che rappresenta una costante dei film della trilogia) è la ricerca di un’identità assente che non trova soluzione. È sintomatico che nemmeno in questo film i personaggi abbiano una caratterizzazione storica di loro stessi; ad esempio, di Lidia sappiamo solamente che è ricca, ma non conosciamo niente della sua personalità e della sua storia personale. Lo spettatore – anche lui immerso nella realtà cinematografica – cerca, allora, un appiglio, una possibilità di immedesimazione che la protagonista non riesce a dare, proprio perché a sua volta sta cercando la propria identità. Lidia, poi, non abita mai l’immagine interamente, la attraversa sempre ai margini, ai bordi, quasi a non voler rompere gli equilibri che gli edifici e gli ambienti hanno di sé. È evidente la capacità di Antonioni di mettere in scena, anche visivamente, la sua poetica dell’indefinito, dell’“aperto”. Questa particolarità si rende esplicita, oltre che da una sceneggiatura “leggera” – ovvero non legata ad azioni necessariamente legate causalmente –  anche da una messa in scena frammentaria che aumenta la dissonanza con lo spettatore. 

I personaggi, oltre a sottolineare una particolare predilezione per il silenzio (per ben due volte Lidia non vuole né sentire spiegazioni, né dire cosa le passa per la testa), prediligono lo sguardo fuori campo come elemento di comunicazione. Non solo sguardo su di sé e sugli altri: i personaggi de La notte adorano guardarsi attorno, ma con sguardi che sfuggono dalla responsabilità di dire cosa si pensa. Lo sguardo che ne L’avventura era comunicazione, tentativo di dire, diventa ora fuga dalla responsabilità, dall’implicazione (anche visiva), nei confronti degli altri. Lidia, personaggio che nei tratti attraversa tutta la trilogia, è la testimone passiva di ciò che le sta accadendo attorno, e nemmeno nel momento di esprimere al marito cosa pensa veramente si sente in diritto di farlo. Si rifugia in una lettera, scritta peraltro dallo stesso Giovanni, ma ignaro della sua paternità. Il rimandare costantemente ad una veridicità conclusiva, una presa di posizione netta e palese, segna l’intero film. Le decisioni vengono sempre rimandate, le azioni spesso supposte, lasciando – in qualche modo – sospesa anche la possibile interazione con lo spettatore. La conclusione si sposta sempre più in là, continuamente rimandata ad un poi a venire, che ad un certo punto, però, deve arrivare per forza. In questo modo, il finale rimane parziale perché non dichiara nulla sul futuro dei coniugi Pontano, se non che la notte è finita e comincia un altro giorno con nuove domande e diverse peregrinazioni. La conclusione rimane l’ennesima conferma di quanto l’immagine sia più significativa della parola stessa.