ESTATE DI CLASSICI – “IL CIELO SOPRA BERLINO”, WIM WENDERS: UN LUCIDISSIMO ATTO D’AMORE

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di Mariantonietta Losanno

Wim Wenders, un “nuovo regista tedesco”. Sembra impossibile, avvicinandosi all’opera di Wenders, evitare un pur rapido accenno al fenomeno cinematografico nel quale l’autore in questione, se non altro per motivi generazionali e di nazionalità, può essere incluso. Quello, cioè, che si è comunemente accettato di denominare “nuovo cinema tedesco” (NCT). Immediatamente sorge, però, il problema della presunta omogeneità di quella che si ritiene essere una scuola o una tendenza cinematografica; se, cioè, sia possibile considerare il NCT un movimento dal comune indirizzo tematico-stilistico. Ad un primo e rapido sguardo, questa omogeneità risulta essere seriamente compromessa dalla difficoltà di far coincidere – entro un orizzonte comune – prodotti tanto diversi tra loro, quali L’enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog, Fuoco di paglia di Volker Schlöndorff, Il diritto del più forte di Rainer Werner Fassbinder e Alice nelle città dello stesso Wenders. Ci si potrebbe allora chiedere: è utile stabilire delle affinità, dato che così facendo si rischia di appiattire tutta la produttiva diversità esistente tra le varie personalità artistiche? Ecco, dunque, che un primo segno distintivo che accomuna la pratica dei “nuovi” cineasti tedeschi si rivela la mancanza di un preciso retroterra culturale nazionale, di un modello a cui ispirarsi e contro cui combattere. L’assenza di un “Padre”, insomma, «il che comunque – ha ribadito Wenders – è un buon inizio per chiunque» (M. Fontana, Intervista a Wenders). Stabilito che proprio l’assenza di un preciso background ha favorito negli autori del NCT un’apertura a stimoli eterogenei e spesso contraddittori, è – ugualmente – possibile individuare un terreno d’azione comune. La produttiva modernità del NCT sta proprio nella coscienza di un passato con il quale è impossibile non fare i conti, nella consapevolezza dell’impossibilità di raccontare una storia senza confrontarsi con un patrimonio culturale ingombrante ma che non può essere eluso. Questa operazione si risolve – in Wenders – in una ricerca da parte dei personaggi della propria identità mediante (appunto) il ritorno sulle tracce del passato. 

BBC9435F E410 416D 97EE 3C3113515FAD 300x180 ESTATE DI CLASSICI   “IL CIELO SOPRA BERLINO”, WIM WENDERS: UN LUCIDISSIMO ATTO D’AMOREIl plumbeo cielo di Berlino è popolato di angeli. Smarrite le identità e le funzioni originarie dopo l’esperienza lacerante del conflitto, sono invisibili agli occhi degli uomini ma non a quelli dei bambini, posano il proprio sguardo libero e inesausto (condannato al bianco e nero) sulla città e sui suoi abitanti, dei quali cercano di cogliere i pensieri, i ricordi, i sentimenti. Scorgono l’emozione di un uomo che visita la casa della madre scomparsa, le ansie di una partoriente, la lite di una coppia. Tra gli angeli, ci sono Damiel e Cassiel, che si incontrano spesso per riferirsi i frammenti delle storie individuali che hanno trattenuto nel corso del loro incessante vagabondare. Damiel confessa l’insofferenza nei confronti della propria “eternità” e il desiderio di sperimentare la concretezza della vita. Sentire – finalmente – il peso del proprio corpo, dare da mangiare al gatto, sporcarsi le dita leggendo un giornale, gustare un buon pranzo. Questo desiderio si acuisce quando vede Marion, la giovane e bella trapezista, di cui ammira la bravura ma intuisce l’intima inquietudine. La segue, la osserva e prova timidamente a toccarla: per un attimo, e per la prima volta, la realtà rivela al suo sguardo i colori. Damiel ha deciso: diventerà mortale. “Caduto” sulla terra, vicino al muro tante volte “attraversato”, scopre la vita. Corre a cercare Marion, ma il circo ha chiuso i battenti, lasciandola in preda alla solitudine. Va allora nel locale del rock di Nick Cave and The Bad Seeds, poi in un bar, dove finalmente Marion lo raggiunge.

Prima di ogni cosa, Il cielo sopra Berlino è un lucidissimo atto d’amore nei confronti di una città offesa dalla Storia, una città dove la guerra non è mai finita e il futuro è un’ipotesi obbligata a confrontarsi con le cicatrici ancora visibili nell’architettura e nei muri dei suoi quartieri. Una città condannata ad un presente solo apparente, dietro il quale si celano – pronte a rivivere in qualsiasi momento – le immagini di distruzione e di morte del secondo conflitto mondiale (le prime del cinema di Wenders). Solo in questa città lo sguardo libero dell’angelo (che coincide con quello della macchina da presa, instancabile nel tracciare sinuosi ed avvolgenti movimenti aerei), può rinunciare all’estraneità per piegarsi alla necessità di compromettersi con la materialità del reale. Autentico protagonista del film è lo sguardo dell’angelo, che realizza il sogno del narratore: attraversare i muri e le finestre per “entrare” nelle vicende della gente. L’angelo può accostarsi senza essere visto, per strada o in una metro, ad un passante qualsiasi per elevarlo per un momento ad eroe di una storia possibile. Allo stesso tempo, però, questo sguardo segna il distacco e l’impotenza di chi può vedere tutto ma non riesce a catturare che la forma, l’essenza immateriale. Come Cassiel che, provando a sollevare un oggetto, stringe in mano solo la sua apparenza.

%name ESTATE DI CLASSICI   “IL CIELO SOPRA BERLINO”, WIM WENDERS: UN LUCIDISSIMO ATTO D’AMOREPartecipe del dolore e della solitudine di tutti gli uomini, capace di raccogliere ovunque un immenso ma effimero repertorio di frammenti individuali destinati all’incompiutezza, l’angelo non riesce a salvare il singolo che ha scelto di morire. In questa incapacità c’è il limite: nessuna salvezza è possibile – sembra voler dire Wenders, a se stesso prima che agli altri – nella separazione dalla vita. Damiel diviene, pertanto, la metafora di un’ideale condizione di saggezza che non rinuncia allo stupore infantile. La lucida espressione della consapevolezza che, per cambiare la realtà, occorre ancora credere nelle favole, o meglio, guardare alla realtà come a una favola. E qual è la favola più grande, affascinante e coinvolgente se non quella dell’amore? La stessa che costringe Damiel ad innamorarsi (a “cadere innamorato”, come indica l’equivalente espressione francese “tomber amoureux” o quella inglese “to fall in love”) per poter, di conseguenza, “cadere” sulla terra? 

Il cielo sopra Berlino, scandito dalla filastrocca-poesia Elogio dell’infanzia, scritta dal premio Nobel Peter Handke, amico del regista e sceneggiatore (in parte) del film, è un viaggio interiore più che spaziale, che spinge a riflettere sul senso del Tempo, sull’amore che è apertura verso l’Altro (in opposizione alla chiusura del muro). Wenders si muove senza retorica, realizzando un’opera che ha bisogno del “bianco e nero” per arrivare ai “colori”. Da guardare con lo sguardo di un bambino.