“LE MARGHERITINE”, VĚRA CHYTILOVÁ: TENERE E LIBERATORIE FONTI DI INDIGNAZIONE 

0

di Mariantonietta Losanno 

«Cosa sappiamo fare?», chiede una: «Niente», risponde l’altra. Motivazione sufficiente per (continuare a) distruggere un mondo che va a rotoli; per divertirsi, prendere in giro la “preda” del giorno, provare ogni cosa. Tanto, alla fine, è tutto un gioco. 

Věra Chytilová le sue “monellerie” le ha pagate care. Le margheritine, uscito due anni prima della Primavera di Praga, fu bandito dal partito comunista cecoslovacco per “gli sprechi rappresentati” e le fu impedito di lavorare ad altri film fino al 1975. È andato tutto storto (?), quindi. Forse era stato già messo in conto, forse è stato inaspettato. Ma, appunto, a che serve rigare dritto mentre la vita fugge via? D’altronde, c’è la dolcezza delle margherite(ine) che rende tutto – più che – lecito. Le due Maria (si chiamano entrambe così) si impongono di trovare un modo per combattere l’apatia. In un mondo pieno di depravazione, perché non adeguarsi? Si susseguono, allora, una serie di incontri con uomini diversi ma tutti ugualmente interessati a sposarle, fino a che, non vengono messi su un treno e fatti andar via. Durano il tempo del divertimento e nulla più. Se è la cattiveria che – in questo mondo – ha la meglio, bisogna procurarsene il più possibile per non soccombere. 

%name “LE MARGHERITINE”, VĚRA CHYTILOVÁ: TENERE E LIBERATORIE FONTI DI INDIGNAZIONE La Chytilová “schiaffeggia” la repressione, ricordando Sergei Parajanov, che si è fatto conoscere da tutti a causa della censura sovietica che ha colpito la sua opera (Le ombre degli avi dimenticati)  fin dall’uscita in madrepatria nel 1964. La pellicola traspone le dinamiche e le dispute realmente accadute di due famiglie ucraine già precedentemente raccontate dall’omonimo romanzo dello scrittore Mikhaylo Kotsyubinsky. Il regime sovietico non vide di buon occhio questa libertà artistica – che concepì come un affronto – e Parajanov venne punito, processato e condannato ai lavori forzati più volte nel corso della sua carriera. La Chytilová, seguendo lo stesso pensiero, lo dichiara espressamente: «Questo film è dedicato a tutti coloro per i quali la massima fonte di indignazione è un’insalata calpestata». Lei, appunto, di queste ipocrisie si serve per consentire alle due Maria di riempirsi la pancia (in stile La grande abbuffata) e distruggere ogni cosa. Tanto basta ricomporre i pezzi di un piatto per far finta che non si sia mai rotto. 

È tangibile il desiderio di illuminare le coscienze, togliendole dall’oscurità di superstizioni e bigottismi. Questo intento rimanda all’annuncio che apparve sul Diario de Madrid il 6 febbraio 1799, data in cui venne messa in vendita la serie delle incisioni di Goya chiamata i Caprichos, che non sono altro che il tentativo di rendere il pubblico disingannato e consapevole. Nel testo dell’annuncio pubblicitario viene dichiarato: «L’Autore, essendo persuaso del fatto che la censura degli errori e dei vizi umani (benché propria dell’eloquenza e della poesia) possa anche essere oggetto della Pittura, ha scelto come argomenti adatti alla sua opera (tra la moltitudine di stravaganze e falli comuni in ogni società civile, e tra i pregiudizi e menzogne popolari autorizzati dalla consuetudine, dall’ignoranza o dall‘interesse), quelli che ha ritenuto più idonei a fornire materia per il ridicolo e ad esercitare allo stesso tempo la fantasia dell’ Artefice». È lo stesso “slogan” che indirizza Věra Chytilová, che sulle provocazioni costruisce il suo Cinema. Sugli errori, sui difetti, sulle trasgressioni. «Hai le gambe storte», dice una delle due mine vaganti all’altra, che risponde prontamente: «È su questo che ho basato la mia personalità». Il regime e l’identità: come possono coesistere?