ROMA – «Nell’ambito della stessa regione, da provincia a provincia, possono essere costretti a sobbarcarsi anche 150 chilometri al giorno di viaggio, in auto oppure nella migliore delle ipotesi in treno o autobus, in quest’ultimo caso per evitare “pesanti” spese di benzina.
L’alternativa, per evitare “massacranti” viaggi quotidiani, sarebbe quella di stare lontani da casa, prendendo in affitto magari una camera: neanche a pensarci! I costi sarebbero esorbitanti.
E allora le spese del loro viaggio, che certamente nessuno gli rimborsa a fine mese, pesano maledettamente su quei 1460 euro netti base, esclusi di premialità, che il nostro Sistema Sanitario “osa definire” retribuzione.
Parliamo dei nostri infermieri-pendolari e di tutti gli altri professionisti della sanità che, ogni giorno, si sobbarcano, spesso alzandosi anche alle 4 del mattino, ore di viaggio per raggiungere l’ospedale dove prestano servizio.
Ci giungono notizie, negli ultimi giorni, da parte dei nostri referenti locali, che non sono certo una novità, ma che vale la pena raccontare alla collettività.
Situazioni, delicate, frutto di testimonianze dirette, in particolare per quanto riguarda Toscana e Liguria, dove centinaia di infermieri sono in attesa di riavvicinarsi a casa, di ottenere attraverso la mobilità, destinazioni più vicine alla loro abitazione, ma soprattutto per trascorrere più tempo con la propria famiglia.
Perché a questo le aziende sanitarie, il Governo, le Regioni, spesso non pensano affatto.
Prendiamo un infermiere under 40, dipendente del nostro SSN che, gioco forza, deve fare gli straordinari se vuole arrotondare uno degli stipendi più bassi della Vecchia Europa: si ritroverà, quindi, a fare i turni di notte, e potrebbe anche sobbarcarsi, nei fine settimana, 12 ore di fila nei reparti.
Quando questo collega potrà trovare il tempo, ci chiediamo noi, per stare con la propria famiglia, con i bambini, con la moglie, se ci aggiungiamo anche, nel suo caso, le ore trascorse in treno o in auto?
E poi, stress e stanchezza da viaggio sono certamente fattori determinati che inficiano sulla qualità delle prestazioni sanitarie. Quando devi prenderti cura di un malato, quando sei chiamato ad agire prontamente per salvare una vita, queste considerazioni sono doverose.
Sono sotto gli occhi di tutti i rischi che corrono, un padre o una madre di famiglia, nel mettersi in macchina ed essere costretti a guidare per 150 km, dopo un turno di notte in ospedale.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Sul capitolo della mobilità il nostro sindacato, da anni, porta avanti una delle sue principali battaglie .
Qualcosa si è certamente mosso in positivo, dopo la firma dell’ultimo contratto, ma siamo ben lontani da qui a dire che le nostre battaglie sul delicato capitolo mobilità sono finite.
In Toscana, i nostri referenti, di concerto con i cronisti locali, ci riferiscono che nel 2022, le centinaia di operatori sanitari che da provincia a provincia si sobbarcano ogni giorno anche oltre 100 km, pesano non poco sul budget familiare, oltre che in termini di stress psico-fisico.
Ad esempio, un operatore sanitario di Livorno che lavora a Firenze (distanza 184 chilometri) se viaggia con un’auto percorre ogni anno 36.432 chilometri, spende circa 5mila euro di benzina e impiega 574 ore pari a 24 giorni. I costi economici e sociali sono inferiori se si utilizza il treno (1.270 euro per l’abbonamento, 660 ore impiegate pari a 27 giorni), ma restano comunque alti.
Un operatore sanitario di Arezzo che lavora a Firenze (distanza 146 chilometri) deve spendere in un anno o 1.848 di abbonamento del treno (528 ore impiegate pari a 22 giorni) o 5.753 euro di benzina per 369 ore di percorrenze pari a oltre 15 giorni.
In Liguria, dalle storie dei giornali locali, emerge che c’è chi si alza alle prime ore della mattina per prendere il treno e arrivare alle strutture ospedaliere che fanno parte dell’azienda sanitaria del Tigullio in tempo per dare il cambio ai colleghi del turno di notte. E poi c’è chi davanti alle attese di un’ora in stazione, tra una coincidenza e l’altra, ha deciso di usare la macchina, magari sobbarcandosi 150 chilometri al giorno, per rientrare a casa a un orario decente e riuscire a intavolare un discorso col resto della famiglia. Sono decine gli infermieri che si trovano in questa situazione e che, da quando hanno preso servizio nell’azienda sanitaria Chiavarese, attendono con ansia il trasferimento negli ospedali spezzini, provincia in cui risiedono.
Il nostro appello è doveroso: le Aziende sanitarie italiane, da Nord a Sud, aprano i bandi per la mobilità previsti dal nuovo contratto, e mettano a disposizione tutti i posti che hanno disponibili per i trasferimenti, in modo che centinaia di infermieri possano riavvicinarsi ai propri nuclei familiari.
Abbiamo lottato duramente, per vedere inserita questa possibilità nell’ultimo contratto. Ora è necessario che le aziende sanitarie collaborino, e noi non smetteremo di sensibilizzarle, in maniera da risolvere il maggior numero possibile di queste difficili situazioni.
Un professionista che si riavvicina a casa, che può evitare di vivere lo stress di lunghi spostamenti quotidiani, un professionista che si può permettere di risparmiare qualche centinaia di euro per aiutare meglio la propria famiglia ad arrivare a fine mese, sarà alla fine un operatore la cui serenità gioverà non poco all’intero sistema sanitario, per il bene dei pazienti e la tutela della loro salute», conclude De Palma.