di Mariantonietta Losanno
“Cosa vi è di buono in tutto questo, ahimè, oh vita?”
“Che tu sei qui – che esiste la vita e l’individuo,
che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi
con un tuo verso.”
Walt Whitman
I Daniels (nome che, ad Hollywood, hanno attribuito ai due registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert) hanno vinto ancora prima che il loro film venisse decretato “da record” e ricevesse sette statuette agli Oscar. Sono riusciti a trionfare battendo il tempo perché hanno studiato un progetto ambizioso (non per forza infallibile) capace di legare insieme dramma familiare, fantascienza e commedia, indagando – nello stesso tempo, ancora – il valore del contributo che l’uomo fornisce allo “spettacolo”, così come viene definito da Walt Whitman.
Lo spettacolo messo in piedi dal duo imbattibile ha richiesto cinque anni di lavorazione, rallentamenti a causa della pandemia, ripianificazioni di budget. Hanno dovuto, poi, fare i conti con un altro mondo, rispetto a quello di appartenenza: i Daniels, infatti, prima di Everything Everywhere All at Once, hanno realizzato videoclip musicali, imparando da subito ad “imbrogliare”, facendo sembrare raffinato e costoso un prodotto – in realtà – costruito con pochissime risorse. Non si sono fissati limiti irrealizzabili, anzi. Hanno valutato i mezzi a disposizione e hanno manipolato (forse esasperato?) la materia che si sono proposti di raccontare. Il film da record racconta la storia di Evelyn e suo marito Waymond, cinesi americani con un’impresa di famiglia (una lavanderia a gettoni), una figlia in una relazione lesbica mal vista dalla madre e un nonno da assistere. Hanno problemi (all’esterno) con le tasse e altri (all’intento) con il matrimonio; all’improvviso, però, si prospetta una missione da compiere: combattere una forza malvagia nel multiverso prima che distrugga tutto. L’unico modo per portare a termine il compito è assumere le capacità delle altre varianti di sé da altri mondi, da cui “attingere” per potenziarsi. Sembra più complesso descrivere che assistere alla magia. Quello che avviene in quasi due ore e mezza è un’esperienza tanto folle quanto lucida, da affrontare con alcuni (eventuali) accorgimenti. Innanzitutto, non pretendendo di attribuire significato ad ogni minimo frammento, godendo – anche – della contraddizione e del caos; continuando a seguire il percorso, seppur arbitrario, facendo affidamento sugli elementi che (man mano) si acquisiscono. In tutto questo processo non bisogna dimenticare (chiaramente) di lavorare sull’immaginazione e di respirare, soprattutto, come viene suggerito ad Evelyn stessa.
La missione ha inizio e segue un percorso circolare, come a voler sottolineare la necessità di doversi concludere. Basti pensare alla forma della lavatrice, o al cerchio su una fattura per evidenziare un’irregolarità. Per potersi concludere, è necessario, però, risolvere alcune dinamiche interne ed esterne. Il rapporto tra Evelyn e la figlia, ad esempio, che necessita di uno sforzo maggiore della prima nei confronti della seconda; la crepa nel matrimonio che va discussa e non risolta ricorrendo al divorzio come via di fuga. Il film, poi, viene diviso in capitoli (forse anche per facilitare la visione): Everything, Everywhere, All at Once. Siamo qualsiasi cosa, ovunque, tutto in una volta. È ancora più profondo, allora, il discorso rispetto ai mondi possibili di Leibniz analizzati prima in Destino cieco di Kieślowski e poi in Sliding Doors di Peter Howitt; e differente anche dalle manipolazioni dei ricordi di Michel Gondry in Eternal Sunshine of the Spotless Mind. È ancora più delirante e più impegnativo. Sembra, per certi versi, di trovarsi nel mondo surreale e pieno di ossessioni di Quentin Dupieux, ma più combattivo. È pieno di idee, suggestioni e assurdità (credibili) il cinema dei Daniels, che si chiarisce allo stesso modo del poesia di Whitman: la soluzione è essere presenti, godere di quell’opportunità concessa ad ognuno di noi di contribuire come possiamo, cambiando il verso.
Le due ore e mezza potrebbe essere potenzialmente infinite; il ciclo ricomincia, i viaggi spazio-temporali riprendono, così come i movimenti frenetici e impazziti. Non è necessario destreggiarsi tra tutti i possibili mondi paralleli, è essenziale – anzi – fallire, persino assecondare i deliri. E accettare le minime particelle di senso. Senza dubbio Everything Everywhere All at Once è un film da record, che fa ragionare oggi e farà discutere in un altro lasso di tempo.