“KIMI – QUALCUNO IN ASCOLTO”: IL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA SECONDO SODERBERGH 

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di Mariantonietta Losanno 

Non è la prima volta che Steven Soderbergh racconta le conseguenze del Covid-19. Anzi, secondo alcuni, le ha persino predette. È stato Contagion (con Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Marion Cotillard e Jude Law), infatti, il film più cercato durante i primi giorni di lockdown nel (lontano?) 2020. Era difficile (anche a causa degli isterismi della condizione) non cercare qualcosa che potesse aver descritto il Coronavirus prima del tempo, e Contagion descrive esattamente lo scoppio di un’epidemia per un virus chiamato MEV-1. È un territorio (necessariamente chiuso) che il regista, quindi, conosce bene. Ne comprende gli eccessi, le teorie complottiste, i disturbi psichici (inevitabilmente) connessi, le sensazioni claustrofobiche. Ed è in grado di porsi le domande più scomode, come quelle che riguardano la gestione della paura incontrollata: come può essere affrontata nella società di oggi? In che misura contribuiscono i media, che diffondono una mole di informazioni senza che vengano effettuati controlli di veridicità? Come si argina la paranoia in un’epoca in cui si comunica ventiquattro ore al giorno? 

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Kimi (presentato in anteprima alla 32ª edizione del Noir in Festival il 5 dicembre 2022 e disponibile in streaming da febbraio 2023) racconta la storia di Angela Childs, una ragazza che soffre di agorafobia. Per lavoro implementa l’efficienza dell’assistente vocale Kimi (una parente di Alexa) e, per caso, ascolta l’audio di uno stupro con omicidio. A quel punto, diventa obbligatorio prendere una decisione: uscire di casa e denunciare l’accaduto, o lasciarsi fermare dalla paura? Kimi non esita, perché in quello che ha ascoltato ha riconosciuto il suo dolore ed è riuscita persino ad immaginare come si sono svolti i fatti, facendo attenzione ad ogni singolo rumore. Una volta affrontata la paura, però, deve fare i conti con chi preferisce nascondere questa storia, coprendo i colpevoli. 

Soderbergh costruisce una personalissima riflessione (una finestra sulla strada, mai sul cortile) su quello che oggi viene definito capitalismo della sorveglianza. È stata Shoshana Zuboff, insegnante alla Harvard Business School dal 1981, a scrivere un saggio (dall’omonimo titolo, Il capitalismo della sorveglianza, tradotto in Italia dalla Luiss University Press) per analizzare l’era che stiamo vivendo, caratterizzata da un’architettura globale di controllo, ubiqua e sempre all’erta, capace di indirizzare il nostro comportamento per fare gli interessi di pochissimi. Questo nuovo capitalismo sfrutta l’esperienza umana sotto forma di dati come materia prima per pratiche commerciali segrete, ed è l’origine di un nuovo potere strumentalizzante, che impone il proprio dominio sulla società e sfida la democrazia dei mercati. Per gli architetti di questo nuovo ordine economico, non può esistere alcun rifugio. L’esigenza primordiale di avere un nido è – per loro – un residuato di un’epoca stantia; non conta quanto le pareti siano spesse, dal momento in cui tutti i confini che definiscono il modo in cui viviamo casa nostra si stanno cancellando. La particolarità della riflessione di Soderbergh, allora, sta proprio nel comprendere – senza mai confondere – i due lati della medaglia: le conseguenze disastrose scaturite dalle violazioni dei diritti fondamentali e le opportunità che questo capitale rivisitato può offrire. Kimi è lo strumento attraverso cui salvarsi o morire. Sono parole un po’ drastiche, ma non per questo meno reali. In questo caso, Kimi sta a voler indicare la tecnologia con i suoi strumenti avanzati di oggi, non necessariamente il prodotto in sé. 

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La soluzione sta nell’accettare che il capitale utilizzato oggi deriva dall’esproprio dell’esperienza umana, attuato con un programma di renderizzazione unilaterale e invasivo: le nostre vite vengono raschiate e vendute per sovvenzionare la loro libertà e la nostra sottomissione, la loro conoscenza e la nostra ignoranza su tutte le cose che loro sanno. Siamo materie prime del processo di produzione digitale. Accettare tutto questo non significa legittimare che venga svilita la dignità umana; bisogna trovare un modo per difendere e opporsi con coscienza, lavorando insieme per raggirare il nuovo capitalismo e indirizzarlo verso di noi. Facendo in modo che operi come forza inclusiva devota alle persone che deve servire. Soderbergh questa soluzione la supporta, lasciando(ci) uno spiraglio di umanità.