– di Vincenzo D’Anna* –
Lo avevamo detto con parole chiare e motivate. L’elezione di Ellly Schlein alla segreteria del Pd, rappresenta un passo indietro perché il sistema politico italiano possa superare l’abitudine di strutturarsi nuovamente sulle idiosincrasie, su blocchi acerrimamente contrapposti, secondo stereotipi e pregiudizi di antico retaggio. Spostare il più grande partito della sinistra di governo su posizioni antagoniste, prelevando, dal soffitto polveroso dei fallimenti storici, i vecchi arnesi del marxismo, non darà i frutti sperati (per chi li usa) e, quel che è peggio, ci riporterà indietro nel tempo. Agli anni Novanta del secolo scorso, per la precisione, quando la sinistra si aggregò per antinomia a Silvio Berlusconi, utilizzando ogni mezzo ed ogni espediente per distruggere il nemico. Furono così travolti sia i limiti della correttezza e del far play politico, sia i regolamenti parlamentari, per dare vita ad un eterno scontro fatto di reciproci scambi di accuse per le leggi ad personam degli uni e quelle contra personam degli altri. Insomma: si prospetta la rottamazione dell’idea prospettata da Walter Veltroni il quale, al Lingotto nel 2007, decise di fondare un partito liberal democratico, aperto al riformismo, che puntava all’auto sufficienza parlamentare, in un sistema elettorale maggioritario. Un partito che superasse la logica frontista e le aggregazioni “necessitate”. Insomma con la Schlein siamo al ritorno alle ragioni del tempo andato, quello nel quale, nell’antica Roma, restavano aperte le porte del tempio dedicato a Marte, il dio della guerra. La dietrologia e la polemica speciosa tornano ad essere il dato distintivo della filosofia politica, caratterizzata da lotte e strumentali contrapposizioni a prescindere dall’argomento in discussione. Le avvisaglie di questo ritorno alle pratiche tribali lo si sta evidenziando in questi ultimi giorni su due questioni particolarmente delicate che investono sia la sfera della politica che quella dell’opinione pubblica. Il primo caso emerso si riferisce alla tragedia che si è consumata sulle coste di Cutro, in Calabria, con il naufragio di un barcone carico di migranti. Quasi tutti rifugiati provenienti dall’Afghanistan desiderosi di sottrarsi al feudalesimo dei Talebani e degli integralisti islamici. Una sciagura che ha provocato circa settanta morti, donne e bambini compresi, nel mentre diversi altri ancora, purtroppo, mancano all’appello. Tanto è bastato perché la “pasionaria” del Pd mettesse sotto accusa il ministro dell’Interno per presunte omissioni e ritardi nei soccorsi. Con l’aggravante di colpa a causa di un’ovvia dichiarazione resa dall’esponente del governo sulla pericolosità e l’alto rischio di morte per quanti affrontano quel tipo di viaggio, a prescindere dalle motivazione e dalle necessità che li spingino a rischiare la vita dei propri familiari. Insomma innanzi a quelle bare non si è mossa la commozione ed il buon senso umanitario, quanto il calcolo dell’opportunismo e del vantaggio pubblicitario che intercetti l’indignazione e la protesta a buon mercato. E chissà che Elly Schlein riesca anche a spiegarci quale sia la differenza tra questa tragedia rispetto a quelle consumatesi quando al Viminale sedevano ministri piddini. E compaiono d’improvviso, come evocati da antiche assonanze di ragionamento, anche i magistrati. Non solo per spiegare le circostanze della tragedia ed eventuali colpevoli e manovratori di questa immonda e redditizia tratta di esseri umani, ma per accertare responsabilità per i soccorritori!! Ogni scafista chiede da sei a 10mila euro per passeggero: fatevi i conti di quale sia il giro d’affari per chi organizza queste traversate. Ma questo filone d’indagine è complicato da svelare. Allora meglio trovare qualche capro espiatorio italiano. Un altro esempio di scuola di dietrologia politica e giudiziaria applicata, viene dalla tardiva indagine sull’organizzazione che il governo Conte mise in atto per fronteggiare la pandemia da Covid. Anche qui l’azione giunge tardi, tanto da sembrare più una postuma resa dei conti tra scienziati che un doveroso accertamento per migliorare, in quel tempo, le cose a vantaggio dei malati. L’ipotesi è quella che non furono predisposte tempestivamente le zone rosse per isolare i piccoli paesi del bergamasco ove il morbo letale mieteva centinaia di vittime. Ci fu chi in quel tempo scrisse che l’errore era consistito nel non rendere obbligatorie le autopsie sui primi decessi, come era d’uopo innanzi ad un virus sconosciuto, per poterne svelare l’eziopatogenesi. Avrebbero scoperto, con mesi di anticipo e minor numero di lutti, che la patologia polmonare era una complicazione, ma che la causa inducente era di tipo infiammatoria e vascolare. Le tossine virali inducevano, cioè, un’infiammazione che coagulava il sangue nei piccoli vasi, determinando le cause fatali. Come se non bastasse, la presenza del virus in piccoli paesi di montagna, isolati come erano, tra loro, geograficamente, deponeva per l’esistenza di un ceppo autoctono locale, arrivato lì per modificazione genetica di quello cinese (cosa , questa, che i biologi avrebbero accertato in seguito). Ebbene, anche in quel caso specifico a farla da padrone fu la grancassa scandalistica e politica, e no l’ascolto di chi indicaca cose ragionevoli. Una grancassa che trovava ristoro attingendo al quel “senno di poi” di cui son piene le fosse….