“UNA RELAZIONE PASSEGGERA”: COSE CHE SI RIPETONO, SI PERDONO E SI “SPENGONO” 

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di Mariantonietta Losanno

Nella sua cronaca (così come suggerisce il titolo originale del film, Chronique d’une liaison passagère) Emmanuel Mouret segue in maniera precisa e puntuale i movimenti dei suoi personaggi, osservando quello che dicono e che fanno nella loro intimità, annotando ogni minimo dettaglio. Se è vero che il primo richiamo – quello più immediato – è a Io e Annie e (più in generale) alla filmografia di Woody Allen e al suo modo di indagare le relazioni attraverso un’anima tragica ed ironica, è vero anche che Mouret guarda – e si ispira – ad Éric Rohmer. Al suo ritmo lento, alle sue tante parole, all’immersione nella natura. Ne L’ami de mon amie, ad esempio, Rohmer si serve dei colori – in particolare il verde e il blu – per caratterizzare i personaggi e le situazioni; Mouret utilizza, invece, le luci che si accedono e si spengono continuamente, a seconda delle circostanze. 

Simon e Charlotte si conoscono ad una festa e poi si incontrano in un bar. Lui mette subito le mani avanti, confessando di non essere (mai stato) un grande seduttore, lei è più sicura di sé, oppure mostra la sua versione migliore (non per forza la più autentica), che è qualcosa che si è soliti fare quando si prova un interesse per una persona nuova. Quando ci si incontra superati i trent’anni si è consapevoli che chiunque abbia alle spalle un passato: nel caso di Simon e Charlotte è il presente ad essere ingombrante. Entrambi hanno figli, lui è sposato, lei no. Sin dal principio, quindi, la conoscenza tra di due assume i tratti di una relazione passeggera, in cui sono chiari gli intenti. 

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“Mi piace molto la luce, non ho niente da nascondere”, dice Charlotte spiegando il motivo per cui preferisce non avere tende in casa. Le piace guardare le persone nella loro intimità. Queste – ed altre – luci continuano ad accendersi nel corso della narrazione, sottolineando l’importanza di alcuni momenti, esaltandoli, esibendoli. Sono spesso situazioni imbarazzanti, goffe, ad essere illuminate, come a voler enfatizzare le insicurezze, non a nasconderle. Mouret si sofferma sulla vergogna, quella che si prova verso se stessi, quando si realizza di aver fallito nel proprio matrimonio, quando ci si rende conto di aver “perso” tempo, adagiandosi su presenze certe e rassicuranti. In quei dialoghi lunghissimi che – ancora – richiamano quelli di Rohmer, Charlotte e Simon si mettono a nudo, e non solo perché la loro relazione si basa (da subito) sul sesso, come è da “prassi” (?) per gli amanti, ma perché entrambi provano a capirsi, aiutandosi. 

È anche la solitudine, infatti, ad essere illuminata, insieme al vuoto, alla paura, al senso di colpa. Vengono analizzati quegli “ultimi momenti”, quelli che continuamente si succedono nel corso della vita. Anzi, forse viviamo sempre ultime volte: le persone, così come le idee, cambiano irrimediabilmente. E ci aggrappiamo, forse, alle continue ultime volte. “Un momento che diventa sempre più breve mentre ti parlo, questo è l’ultimo istante”, dice Simon a Charlotte in una delle loro tante ultime volte. Lui prova ad essere più coraggioso, a mostrare da subito i suoi limiti, la sua “lentezza” nel capire e nell’agire. Lei, invece, si difende, provando a tenere in piedi un discorso, che in realtà regge poco, sul non volere cose che si ripetono, scegliendone altre diverse ogni giorno. C’è, però, una ripetizione anche in qualcosa che, nonostante non coinvolga le stesse persone, si ripete. Dormire ogni notte con un uomo “nuovo” ha, paradossalmente, una sua continuità. Perché, in ogni caso, quell’azione si ripete. È solo più “semplice” che si ripeta con soggetti differenti, così da non assumersi un impegno troppo grande. 

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Cos’è più giusto, vivere bene con i ricordi che si custodiscono di una persona o insistere, forse ostinandosi, quando si crede di amare? Mouret sfugge dalle questioni morali, concentrandosi sulla profondità di alcuni discorsi che coinvolgono sentimenti, idee, sofferenze. Tutto scorre, così come simboleggia il fiume che apre il film: se nulla è eterno, quanto è importante seguire l’istinto e assecondare un sentimento? Una cosa è certa, la pellicola evita di cadere in banali elucubrazioni sulla “convenienza” del vivere relazioni adultere, non passeggere: arriva alla verità, alle confessioni dolorose, senza sosta, fino alla fine. È dall’idea – per l’ennesima volta – illuminante di vivere di infinite ultime occasioni che si può constatare quanto sarebbe più facile esporre i propri sentimenti, invece di minimizzarli (o persino svilirli) fingendo che sia un’avventura.