di Mariantonietta Losanno
Ozon traccia due strade e segue – con insistenza – entrambe, mettendo in scena temi complessi senza farli diventare mai concretamente dibattiti, mantenendo lucidità, sensibilità e persino leggerezza.
Prima di tutto, “È andato tutto bene” è la storia di una famiglia. Si sofferma, in particolare, sul rapporto complesso tra un padre e le figlie: un legame per tanti aspetti “tossico”, in cui sono mancate le premesse di affetto e rispetto, e che si è tenuto in piedi per ipocrisia e indifferenza. André, però, non esita a chiedere aiuto alle figlie quando, dopo un ictus, vorrebbe essere accompagnato a morire. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Emmanuèle Bernheim, la pellicola segue – come abbiamo detto – due percorsi: da un lato ci sono la rabbia e il rancore repressi nei confronti di un padre che ha ignorato le sofferenze che ha inflitto alle figlie e alla moglie (figura silenziosa all’interno del racconto), dall’altro c’è una riflessione (mai imposta) sull’eutanasia, sulle possibilità di scelta (e anche sui mezzi di cui si dispone per poter scegliere) e sui diritti garantiti e negati. Ozon mette in scena l’evoluzione del legame tra André e le sue figlie, sottolineando la capacità di queste ultime (ormai abituate) di ignorare – riuscendo persino a sorriderne – i commenti poco consoni del padre, i suoi atteggiamenti egoisti, la sua indole da “despota”; parallelamente, analizza l’evolversi di un discorso complesso su un tema che sembra ancora impronunciabile. Un tema che divide, che porta con sé discussioni sul senso di colpa, sulla responsabilità, sulla dignità.
“Mi sarebbe piaciuto averlo come amico”, dice la figlia riferendosi a suo padre. Come amico, appunto; come una persona vicina, ma non quanto un genitore. Quell’atteggiamento denigratorio, forse, in un rapporto di amicizia in cui si è alla pari avrebbe suscitato reazioni diverse e, probabilmente, avrebbe persino aiutato. Non è solo la malattia che le consente di mettere da parte questi sentimenti; è un meccanismo di difesa che è stato – necessariamente – già brevettato da tempo e che consente di mantenere distacco nonostante si mostri vicinanza. “Non gli hai sempre augurato la morte?”, chiede una sorella all’altra; espressioni che, soprattutto quando si è più giovani e più inconsapevoli del peso delle proprie parole, si utilizzano facilmente, ma che dimostrano, al tempo stesso, un sentimento di rabbia e di odio che ha spinto realmente ad ipotizzare di non avere più rapporti con “quel” padre.
Ozon equilibra umanità e lucidità mettendo in scena – all’interno di un contesto borghese dai confini definiti – una storia che intreccia vicende personali a vicende morali, senza risultare mai (a causa dei temi trattati) asfissiante. Mantiene leggerezza, come quella che spiazza lo spettatore già a partire dal titolo.