Generalmente si tende a ritenere che l’amore e l’unione possano avvenire solo fra persone in perfetta (o quasi) efficienza fisica e mentale…Cerchiamo di fare chiarezza…
All’inizio degli anni ’80 si apre il dibattito sull’affettività e sulla sessualità delle persone disabili, ponendolo all’attenzione di operatori e famigliari. È difficile parlare di sessualità e disabilità, in quanto questo tema è stato a lungo trascurato sia dai professionisti che dalle persone comuni, perché l’atteggiamento principale era pieno di irrazionalità, in quanto basato su pregiudizi e su paure, un atteggiamento che oscillava tra la negazione del diritto alla sessualità del disabile ed una considerazione di essa come perversa ed abnorme. Si pensava e questa concezione è andata avanti per decenni, che le persone disabili non avessero stimoli sessuali e quindi senza desiderio alcuno di approcciarsi fisicamente al sesso opposto o allo stesso sesso. Solo negli ultimi anni è stato possibile rilevare un aumento d’interesse verso l’argomento attivando una dinamica di cambiamento e una maggiore disponibilità ad aprire spazi di riflessione, a riconoscere il diritto delle persone disabili all’affettività e alla sessualità Questa maggiore divulgazione ha contribuito non poco a sdrammatizzare il problema e a creare di conseguenza il clima adatto per affrontarlo con più serenità, a trovare maggiori e migliori soluzioni, a preparare meglio le famiglie e i servizi socio-educativi, assistenziali e riabilitativi, a farlo conoscere ed accettare anche alla società nel suo insieme.
Il primo ad occuparsi del problema, fu nel 1978 in neuropschiatra Camillo Valgimigli che in una rubrica del Corriere della Sera, argomentando le diverse problematiche riguardanti le persone disabili, mise finalmente in risalto quella della sessualità, segnalando all’opinione pubblica i pregiudizi che si nascondevano dietro questo silenzio. “Ammesso che al disabile rimanga un po’ di tempo libero inteso nella accezione comune e ammesso che, abbattute le barriere, questo fortunato possa trovarsi in giro e vedere che aria tira, a questo punto può anche rendersi reale la possibilità di chiedersi cosa possa fare della sua persona sessuata”. Forse senza rendersene conto, sottolineava una svolta culturale. Questo argomento iniziava infatti a diventare fonte di ricerca e di studio. Sempre nello stesso anno venne organizzato un congresso internazionale al Centro di Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale di Milano, al quale intervennero studiosi di livello internazionale dell’handicap sia fisico che mentale. Il tema suscitò la curiosità dei mass-media, che se ne appropriarono con toni spesso morbosi. Forse anche per questo motivi, e nonostante il fatto che nel 1993 l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato un documento nel quale viene riconosciuto a tutti i portatori di handicap “il diritto di fare esperienza della propria sessualità, di vivere all’interno di una relazione, di essere genitori, di essere sostenuti nell’educazione della prole da tutti i servizi che la società prevede per i normodotati, compreso il diritto di avere un’adeguata educazione sessuale”. L’ONU auspica con questo documento che tutti gli Stati Membri si rendano promotori del superamento degli stereotipi culturali che ostacolano il riconoscimento di questi diritti alle persone disabili. Il dibattito però non ebbe significative ripercussioni su due dei sistemi di sviluppo e di crescita più importanti per l’individui con disabilità: la famiglia e le associazioni. Diventava quindi necessario, trattare di affettività e di sessualità in altri modi, in grado di aprire nuove prospettive, iniziando a riflettere su cosa questi temi significano per le persone target. L’handicap rappresenta una difficoltà che ogni persona disabile incontra nel proprio percorso di sviluppo umano tendente alla realizzazione di sé. Eppure i disabili fisici e psichici che stanno percorrendo un cammino di emancipazione rispetto alla famiglia e alla società molto spesso incontrano pochissime possibilità di ascolto per parlare e confrontarsi sull’affettività e sulla sessualità, anche perché incontrano una scarsa preparazione culturale ed emozionale nel mondo dei normodotati ad accogliere questo aspetto della loro vita. Spesso si miri a facilitare la loro emancipazione in termini di inserimento scolastico e lavorativo, di raggiungimento di autonomia e abilità, lasciando in secondo piano aspetti di rilievo per la crescita personale quale “ la consapevolezza e l’affermazione del sé emozionale ed affettivo”.
Diventa utile quindi spostare l’ottica attraverso la quale si guarda alla sessualità e alla disabilità insieme perché ciò che il disabile cerca non è tanto l’accoppiamento sessuale quanto la necessità di soddisfare i propri bisogni relazionali ed affettivi che restano senza risposta esattamente come le persoen che si definiscono normotipiche. La sessualità riporta la persona nella sua globalità, essa è concepita come componente della relazione e della comunicazione, però spesso c’è una difficoltà a vedere questo nella persona disabile perché gli aspetti legati alla sessualità sono visti come fini a se stessi. Proprio per non permettere alle persone disabili di rinunciare alla loro sessualità, a Basilea, in Svizzera, sono al lavoro i primi dieci “assistenti sessuali” per persone disabili. L’assistente sessuale ascolta, cerca di capire, anche solo con una carezza o con prestazioni prettamente più sessuali, cerca di soddisfare, dare piacere, gioia alla persona senza timori, né disagi o modalità brusche o degradanti. Aiuta cioè la persona disabile a provare meno imbarazzo e più sicurezza a rapportarsi con qualcuno, instaurando magari anche qualche relazione di tipo affettivo. Il progetto ha ricevuto molte critiche ma l’iniziativa ha il merito di proporre finalmente una risposta concreta, forse non l’unica possibile, forse non la migliore ma pur sempre una risposta al problema della sessualità, del diritto alla sessualità delle persone disabili. Questo servizio è differente dalla prostituzione, in quanto gli assistenti sessuali sono professionalmente ed umanamente preparati alle reali esigenze della persona che hanno di fronte, infatti non offrono rapporti sessuali completi e mentre la prostituta considera il denaro la cosa più importante per loro al primo posto ci sono le persone e il tipo di interazione e di atmosfera che con esse si instaurano. Di fatto secondo un sondaggio del sito Disabili.com, il portale di riferimento italiano per i disabili, il 77% di essi è favorevole all’assistente sessuale ed è pur il momento che l’Italia si adegui all’Europa anche in questa direzione con una legge che tuteli e preservi la sessualità delle persone disabili.
Disabilità nn significa anaffettivita’.Grazie Mery, kome sempre un altro articolo Ke ci porta a riflettere su qst ” mondo” a tanti sconosciuto.
Questo articolo mi ha fatto aprire gli occhi su una tematica molte volte messa da parte, quasi come se non avesse una vera e propria importanza.
Penso che molte volte immaginiamo la persona disabile come qualcuno di limitato che non abbia impulsi o emozioni o bisogni, quando in realtà è proprio il contrario
Quando si parla di disabilità è pensiero comune che non abbiamo stimoli sessuali o che siano asessuati e invece anche no.. bellissimo questo intervento … tutta la mia stima
Beh io la trovo cosa buona e giusta, nel senso che qualora questi assistenti riescono ad analizzare che anche i disabili provino piacere durante queste ricerche chiamiamole fisiche scientifiche, è giusto che anch’essi possano condurre una vita sessuale adatta alle loro esigenze.
Grazie Mariarosaria per questo nuovo articolo almeno a me sconosciuto nel titolo di linguaggio.
Quando si parla di disabilità si collega sempre all’incapacità a persino di provare emozioni ed essere privi di stimoli sessuali. Nulla di più sbagliato perché le persone disabili provano le stesse emozioni e hanno gli stessi impulsi sessuali delle persone considerate normali e quindi è giusto che vivano la loro attività sessuale come tutti. Magari guidati e accompagnati all’approccio sessuale come avviene nei paesi europei. L’Italia purtroppo è sempre un po’ indietro e non si pensa alla necessità di queste persone di vivere una “vita normale” nonostante la disabilità, sessualità inclusa. Grazie per questa riflessione che smuove le coscienze di noi tutti
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