di Mariantonietta Losanno
David Cronenberg non ha bisogno di essere definito “disturbante”, né di “disturbare”. Il suo intento è analizzare – in modo lucido – il presente, tanto da riuscire a predire le conseguenze che ci saranno nel futuro. Indaga i significati di crimine, paura, piacere, bellezza, evoluzione e li rappresenta in un’opera sovversiva, in cui emergono tutti i cambiamenti che stanno caratterizzando la società di oggi.
Che valore ha il “corpo”? Quanto investiamo affinché raggiunga (certi) livelli? Ricorriamo alla chirurgia, ci impegniamo a migliorarci, a sentirci unici, a inseguire una qualche idea di perfezione. E che forma di piacere insegue, oggi, il corpo? Com’è cambiato il “rapporto tra corpi”? Cronenberg riprende i suoi concetti chiave – godere e soffrire – per analizzare “distopicamente” (ma, sostanzialmente, si serve di una realtà distopica per non figurare in modo “certo” i contorni del futuro) possibili sviluppi del crimine, del sesso e – naturalmente – dell’arte.
Per quanto riguarda il crimine, se è vero che oggi ha raggiunto un livello tale per cui non c’è più nulla che sembra sconvolgere (in termini di efferatezza, di contesto o di attori coinvolti), allora, si cercheranno (?) nuovi metodi. Non solo più violenti, ma più estremi. E se è vero che è già aumentata la “soglia del dolore” – di chi soffre e di chi assiste – si cercherà di farla arrivare al punto tale da essere immuni. Ma non per non provare nulla, anzi; per “provare tutto”, eliminando ogni ostacolo (la morale, i valori, i sentimenti) che impedirebbe di “andare oltre”. Cambieranno i “centri del dolore”, le reazioni ai traumi, persino l’accezione delle parole. Anche il sesso cambierà (o potrà cambiare) forma; “serviranno” nuove perversioni, ancora più eccessive. Si farà ricorso a metodi diversi, a nuovi “punti” di piacere, nuove esplorazioni del corpo. Se cambieranno le pulsioni, si modificheranno anche i significati dell’Arte: si “cercheranno” nuove emozioni, legate a queste nuove forme di godimento e di violenza. Si farà spettacolo, senza scrupoli di coscienza; si cercherà un punto di “arrivo” ancora più lontano.
“Crimes of the future” è un’opera lungimirante e visionaria, che “insinua” dubbi, prospetta scenari, mette in scena lo stadio “successivo” della condizione attuale. Non è vero, infatti, che è già cambiata la soglia del dolore? Di quello che riusciamo a tollerare e dei crimini a cui assistiamo? Sono cambiati anche i significati che attribuiamo alle cose e le paure che proviamo. Quando cambierà anche il concetto di “anarchia” – che oggi è già pericoloso – cosa avverrà? E quando da questa nuova forma di anarchia si produrrà arte a che cosa assisteremo?
Cronenberg ci costringe ad analizzare i nostri limiti e a soffermarci su quello che il tempo provoca ai nostri corpi: le evoluzioni, le deformazioni, le deturpazioni. Come ci serviremo di questi cambiamenti? Li reprimeremo, li sfrutteremo per “costruirci arte”, ne faremo oggetto di piacere? Di certo non saremo tutti “evoluzionisti radicali”. Rispecchieremo, però, secondo Cronenberg, le nostre ossessioni e le nostre perverse fascinazioni per una “nuova carne” e per la scienza e la tecnologia. Nello scenario che ci prospetta sarà l’uomo stesso ad essere il “nemico”; privandosi di sensibilità e di senso del dolore, trasformerà anche le sue abitudini e i suoi vizi.
Dopo otto anni Cronenberg torna con un “nuovo” “Crimes of the Future” (un altro suo film del 1970 porta lo stesso titolo), in cui prospetta una nuova idea di intrattenimento, di rapporto con l’ambiente (c’è chi sarà capace di cibarsi di plastica (?), di evoluzione. Eppure, nonostante le “deformazioni” messe in scena, quella proposta da Cronenberg sembra una prosecuzione (più che) verosimile. Se cambia il corpo, cambiano anche i pensieri: verrà messo in discussione il concetto stesso di umanità?