di Mariantonietta Losanno
Apichatpong Weerasethakul procede attraverso una serie di “dimensioni” – reali e costruite – “perseguitando” lo spettatore mettendolo alla prova con ritmi lenti (o lentissimi), strade interrotte, storie lasciate in sospeso.
Tutto ha inizio da un rumore. Un suono confuso, forte, ma anche potenzialmente immaginato, non necessariamente reale. Jessica (una straordinaria Tilda Swinton che dà corpo e “senso” all’opera) viene risvegliata da questo rumore e da quel momento ne diventa ossessionata: prova ad analizzarlo e a farlo analizzare da (presunti (?) ingegneri del suono, tenta di capire se si tratta di un sogno o di un’allucinazione, torna nelle sue memorie. Poi fa visita alla sorella in ospedale, incontra altre persone, scopre teschi risalenti a seimila anni fa (?).
Quello che contraddistingue i primi minuti del film è un solo ed unico rumore, poi il regista procede (come se avesse stabilito una “scala di valori” e al primo posto avesse posto il suono) integrando le immagini, poi le interazioni e le parole. È chiaro che l’intento sia quello di risolvere un mistero, ma con pochi mezzi a disposizione. Per arrivare a fare chiarezza si deve aspettare, passando in rassegna tutti i minimi rumori (anche accidentali) che si avvicinano a quello che Jessica ha sentito e, in un certo modo, le ha risvegliato qualcosa. Forse dei ricordi, anche dolorosi; forse dei sogni, mai concretamente realizzati. E se proprio il ricordo fosse “pericoloso”? Se, proprio perché si ha memoria delle cose, si scegliesse di “limitare quello che si vede”?
L’obiettivo di Weerasethakul non è quello di chiarire questi interrogativi, quanto piuttosto quello di creare delle connessioni: tra il mondo dei vivi e quello dei morti, o tra quello umano e quello animale, tra quello reale e quello onirico. “Leggere” nei ricordi significa (anche) modificarli, spostarli su un altro piano. Lo spettatore acuisce i sensi nel tentativo di arrivare ad una soluzione; cerca di “sentire” i rumori ma anche i silenzi, e di “accettare” l’impossibilità di comprendere a pieno il mondo. Il pubblico deve porsi, allora, come un’“antenna”, pronto a “captare” i messaggi, a decifrarli, a semplificarli.
La memoria può essere anche rimozione o mistificazione: Weerasethakul insiste su questo concetto di manipolazione del tempo e dei ricordi, estrapolando solo piccoli frammenti dal “flusso continuo” della vita. Chi, allora, meglio di Tilda Swinton (attrice “aliena” per antonomasia) poteva mantenere le “redini” della storia?
Qualcosa si compie quando sembra che non stia accadendo nulla.