di Mariantonietta Losanno
“Dal punto di vista formale “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini ha certamente rappresentato una fonte di ispirazione. Come “One Plus One” di Jean-Luc Godard, il film sulla creazione di “Simpathy for the Devil” dei Rolling Stones. Ingrid Bergman che in “Viaggio in Italia” si abbandona, disperata e tormentata alle peregrinazioni per Napoli, che visita i musei o osserva i vulcanelli. Attraverso quelle immagini Roberto Rossellini costruisce una trama di suspense fortissima, la musica di Renzo Rossellini è quasi thriller, si potrebbe dire che sia una sorta di film hitchockiano, dove il disvelamento del colpevole è nell’interiorità della relazione impossibile tra i due protagonisti”, ha raccontato Guadagnino per spiegare i riferimenti della sua opera disturbante e surreale, che si muove tra il dramma sentimentale e il thriller (?).
Il fulcro della storia è (ancora una volta) una piscina: non a caso, infatti, si ispira all’opera del 1969 di Jacques Deray. Guadagnino, però, non la “esalta” nel modo attento – o forse “morboso” – di François Ozon, ponendola come elemento di sintesi e di comprensione della pellicola. Ha un suo “ruolo”, ma non funge da protagonista. Negli intenti del regista siciliano (impegnato attualmente nella realizzazione di “Bones and All”, adattamento dell’omonimo romanzo), allora, c’è – o meglio, c’era – l’intenzione di porre altri elementi o altri personaggi da protagonisti. Ma quali? Le vicende amorose, forse. O le tradizioni, la politica, il suicidio (?), le ossessioni. Guadagnino fa (e crea) confusione costruendo una storia in cui ci sono una serie di temi (abbozzati) e poi, improvvisamente, il nulla.
La vicenda racconta di Marianne Lane, una cantante rock in vacanza sull’isola di Pantelleria insieme al suo compagno Paul. A sconvolgere i piani arrivano Harry, produttore discografico e suo ex, e sua figlia Penelope. Marianne ha subito un’operazione alle corde vocali e non può parlare: in alcuni momenti, però, sussurra, e prova persino a cantare o a gridare. La sua (non)voce è un riflesso di quella di Guadagnino stesso che, per tutta la durata del film, lancia continue sfide allo spettatore, “sussurrando” idee mai espresse realmente. Lascia che le cose restino in sospeso: non fornisce chiavi di lettura interessanti, concetti da approfondire, enigmi da risolvere.
Tutto si conclude nel modo più plausibile: è tutto prevedibile e surreale. E al tempo stesso è tutto completo ed incompiuto. Si percepisce l’interesse di Guadagnino per le dinamiche del “desiderio”, ma il racconto è saturo di gelosie infantili e sentimenti tossici, da lasciare poco spazio all’analisi del piacere o della trasgressione. È tutto appiattito, accantonato, soffocato. Tensioni sessuali, misteri, ricordi, rancori: “A Bigger Splash” accenna questioni di grande importanza ed attualità (come quella degli immigrati) in modo approssimativo e – persino – sbrigativo. Cosa resta di questo “mix”?