– di Peppe Rock Suppa –
Occhio, signore e signori: anche gli «averi digitali» possono entrare a far parte dell’eredità, lo ha stabilito il Tribunale di Milano: una donna è potuta entrare in possesso di tutte le password del defunto marito, dell’account di posta e di tutti i profili social. È una sentenza storica per certi versi: le password dei defunti, incluse quelle social vanno agli eredi, in quanto “averi digitali” e parte integrante ed esigibile dell’eredità.
Io già immagino il terrore tra i coniugi, perché gli scheletri come è ben noto non si nascondono mai nell’ armadio ma negli account e in ogní dispositivo elettronico. È successo anche a una mia amica, morto il marito ha trovato la password del cellulare e tutti i messaggi dell’amante, che si è presentata pure al funerale (ignara di essere stata scoperta, la storia durava da anni). Ma la privacy, direte voi? Tra coppie sposate non dovrebbe esistere, figuriamoci dopo morti, ragione ulteriore per pensarci bene prima di sposarsi. Tant’è che un mio amico, investigatore privato, mi ha spiegato che si può far pedinare legalmente il proprio coniuge, ma non il partner o l’amante, è illegale. Se sei sposato invece non esiste privacy.
In ogni caso le persone si preoccupano tanto di cosa fare dei propri corpi quando saranno morti (mai capito, il mio potete pure buttarlo in una discarica o imbalsamarlo come Tutankhamon in una piramide, è uguale): c’è chi si sceglie il loculo, chi ha una cappella di famiglia, chi vuole essere cremato e tenuto in un’urna sul camino, chi vuole che le sue ceneri siano disperse nel posto più amato, in mare, in montagna.
lo vi do un consiglio spensierato: fregatevene del corpo, ci facciano quello che vogliono, tanto non ci siete più, ma lasciate disposizioni per cremare ogni vostro account e dispositivo digitale perché qualcosa che non vorreste che fosse trovata si trova sempre, e non è mai un manoscritto di Proust.