“UN ALTRO MONDO”: ADEGUARSI O OPPORSI ALLE REGOLE DI UN MERCATO CHE IMPONE UN “PREZZO” PER TUTTO?

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di Mariantonietta Losanno 

Quello di Stéphane Brizé è dichiaratamente un Cinema coraggioso, che vuole “violare” le regole del “mercato” e raccontare il mondo del lavoro da un punto di vista nuovo. Se Ken Loach viene (giustamente) citato come il maggior cineasta sul tema del lavoro, Brizé focalizza la sua indagine anche su altri temi, mostrando, però, una predisposizione verso un genere di cinema interessato alle dinamiche lavorative disfunzionali che si riversano anche nei rapporti personali. 

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Philippe dirige un’azienda di elettrodomestici appartenente ad un gruppo internazionale; trovandosi a fronteggiare le richieste dei suoi superiori che, per combattere la concorrenza vorrebbero “tagliare fuori” molte persone e nel minor tempo possibile, mette in crisi il suo posto. Nella sua vita privata, intanto, si ritrova a dover affrontare il divorzio e il disturbo ossessivo compulsivo del figlio che necessita di cure psichiatriche. Brizé racconta una storia che conosciamo tutti: quella dell’uomo “comune” che lotta con il Potere e che si ritrova costretto a scegliere se adeguarsi e soccombere o reagire e opporsi. Contro che cosa, però, si combatte? L’avversario è il Potere, un concetto così ampio da spiegare in poche e semplici parole e allo stesso tempo impossibile da definire in modo chiaro. La verità è che, in queste lotte il duello è impari sin dal principio; da un lato c’è il Potere più forte – nel senso di mezzi, non necessariamente in termini di punti di forza – che può decidere la sorte di quelli più deboli, dall’altro c’è una “voce”, un essere umano “qualsiasi” che vorrebbe sovvertire le regole e riuscire a “salvare” sia gli altri che sé stesso. Come si può, allora, contrastare un sistema (ormai consolidato) in cui non è concepibile fare formazione a chi ha più di cinquant’anni perché “non c’è tempo da perdere”, che riduce la vita delle persone a semplici numeri, o che – persino – predilige chi lavora “anche da malato” e, quindi, necessita un “premio”? 

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Questa lotta, poi, come può essere portata avanti senza che si annulli totalmente la persona? La vita privata, i sentimenti e la famiglia che fine fanno? Ci dovrebbero essere “due mondi”, ma in realtà c’è un solo e unico “altro mondo”, in cui si perde la distinzione tra i vari ambiti della vita e tutto viene “comprato” dalle logiche del sistema. La vita viene scandita da riunioni di lavoro, corse in palestra e ancora riunioni di lavoro e corse in palestra. Nei momenti di “pausa” ci si dedica – in modo fallimentare – alla propria vita privata e si ricomincia tutto da capo. “Non metterò una croce sulla mia vita professionale e su quella privata, non perderò su tutti i fronti”, dice la moglie di Philippe di fronte agli avvocati, per non rassegnarsi, per non subire un altro fallimento. 

La pellicola di Stéphane Brizé spinge ad una riflessione su quello che è diventata la realtà lavorativa dopo la crisi pandemica. C’è chi ha lottato per un ritorno alla libertà, chi non è riuscito più a definire i confini di quella stessa libertà a cui tanto aspirava. Chi, ancora, si è reso conto di quanto dipendiamo gli uni dagli altri e dal tessuto di istituzioni che formano la società.

Capitolo finale di un’ideale trilogia dedicata al mondo del lavoro contemporaneo, dopo “La legge del mercato” e “In guerra”, “Un altro mondo” è un’analisi delle condizioni di lavoro e private in un (altro) mondo che, in molti casi, porta alla dissoluzione. E se l’“altro mondo” fosse, invece, quello che si può ancora costruire? Quello che si oppone alle regole di sistema capitalistico che si è evoluto (passando da quello di Marx a quello della “sorveglianza” basato sull’appropriazione dell’esperienze umane da trasformare in dati sui comportamenti) e che sminuisce la persona, facendola sentire “disprezzabile, indecente, sbagliata”?