– di Vincenzo D’Annna* –
Magna est veritas et praevalebit. La verità è grande e prevale, asserisce un brocardo latino che ammonisce quanti tentano di manipolare la verità storica a vantaggio delle utilità e delle convenienze del momento. E cosa è mai stata l’epopea grillina se non una grande falsificazione della storia politica italiana degli ultimi trent’anni? Oggi si assiste non solo allo sgretolamento del Movimento 5 Stelle, in quanto soggetto politico e fenomeno socio culturale di massa dell’era digitale, ma anche alle menzogne ed alle manipolazioni attraverso le quali si è potuto consumare il grande imbroglio pentastellato, ancorché questi sia stato realizzato con la partecipazione di una larga fetta dell’opinione pubblica nazionale. Come è solito avvenire in casa nostra, ci si divide tra le ragioni accampate da Giuseppe Conte e quelle di Luigi Di Maio, tra guelfi e ghibellini, di quello che fu un vasto retroterra che sostenne alla base una vicenda romanzata e ipocrita, appositamente costruita per delegittimare la politica e le istituzioni repubblicane. Senza questa manipolazione propinata ad arte ad un popolo parcellizzato ed influenzato attraverso l’uso sapiente dei social network, non avremmo avuto il M5S alla guida della Nazione (con tanto di maggioranza relativa in Parlamento). L’Italia nella sua storia unitaria, ha sempre avuto uomini di potere che hanno manipolato e falsificato le cronache di determinati eventi da tramandare ai posteri o da contrapporre ai contemporanei invisi ai detentori del comando. A cominciare da Camillo Benso di Cavour che seppe tenere custoditi e segreti gli archivi di Stato, assoldando spesso storici compiacenti per sviare la realtà dei fatti, per delegittimare avversari scomodi come Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi agli occhi dell’opinione pubblica. In altri casi il Conte serbò notizie per non inimicarsi coloro che pure disprezzava come nel caso di Agostino De Petris, il trasformista. Lo stesse fece Giovanni Giolitti con la guerra per la conquista della Libia allorquando, per ben sei mesi, non convocò il Parlamento per non rendere edotti i politici sull’andamento del conflitto contro le truppe della Mezzaluna. Un errore, quest’ultimo, che risultò fatale in quanto la favoleggiata e vittoriosa forza dell’esercito italiano convinse i successori di Giolitti di poter contare su soldati ben addestrati ed armati. Un’erronea considerazione che indusse a ritenere che l’entrata nella Grande Guerra, nel 1915, si potesse concludere con il trionfo entro pochi mesi. Qualche tempo dopo lo stesso erroneo convincimento convinse Benito Mussolini prima ad avventurarsi nelle imprese africane per costruire l’impero e poi a buttarsi a capofitto nella mischia della seconda guerra mondiale scarsamente equipaggiato e, peggio ancora, malamente armato. Insomma: la manipolazione della storia oppure la sua ignoranza, risultano fattori decisivi e fuorvianti in tutte le epoche. Nell’era recente, quella della cosiddetta “terza repubblica”, pur non godendo più del monopolio e del controllo dell’informazione e dei segreti di Stato, non sono mancati gli strumenti di falsificazione propinati ad un popolo che ha abboccato facilmente ai messaggi di chi lo voleva condizionare e turlupinare. I grillini lo hanno fatto ammantandosi di una fantomatica vocazione rivoluzionaria, etica e politica. La capillarità e la pervasività del messaggio era garantito in loro dal sempre più diffuso uso della rete, dalle influenze e dalle falsificazioni che attraverso lo stesso web si potevano diffondere urbi et orbi. La crisi economica originata dallo scandalo bancario dei certificati di credito, dalle azioni bancarie fasulle e dai mutui, aveva portato verso tempi di rigore il governo dello Stato, con il corollario delle politiche di risanamento del pauroso debito pubblico e dei bilanci statali. Chiuse le segreterie politiche e le pratiche clientelari ed assistenziali, bloccato il turnover e le assunzioni negli enti pubblici, una parte del corpo elettorale si è sentita depredata degli andazzi e dei favori del passato. Nostalgici dei tempi che furono, quelli delle vacche grasse, gli italiani si sono naturalmente predisposti verso chi protestava e prometteva redditi senza lavoro, presentandosi al suo cospetto come depositario integerrimo della nuova moralità, innovatore senza macchia e senza scopi. È diventato così molto facile creare un diffuso malcontento, orientandolo verso le classi dirigenti al potere già vessate dagli interventi scomposti e partigiani della magistratura militante. È stato facile erigere tribunali del popolo e patiboli in ogni piazza per sconfiggere i membri di una casta e gli affamatori del popolo. Oggi è semplice chiamarsi fuori individuando nella sguaiata balordaggine qualunquista di Beppe Grillo e della sua accolita di giovinastri assurti a notorietà senza né arte e né parte, mefistofelici poteri di affabulazione e di ipnosi di massa. Certo non è mai semplice distinguere le cose. In fondo pure Ponzio Pilato la verità l’ebbe davanti ma non seppe riconoscerla.