ROMA – Ospedale di Sant’Antonio Abate di Gallarate, siamo in provincia di Varese. Tra le 22.50 dello scorso 9 giugno, e le sei del mattino del giorno successivo, un uomo, in preda ad un vero e proprio raptus, manda in subbuglio un intero pronto soccorso.
Prima aggredisce a calci un infermiere (prognosi di cinque giorni), poi, dopo poco tempo, provoca addirittura lo stop del servizio per oltre un’ora. Avete capito bene, un pronto soccorso fermo per oltre un’ora, soggiogato dalla follia di un soggetto letteralmente in preda ad una crisi di nervi !
A questo punto è legittimo chiederci, con costruttivo e sano spirito di riflessione, ed alla luce di quanto accaduto, dove vanno a finire le responsabilità, dirette e indirette, nel momento in cui, episodi di questo genere mettono ogni giorno a serio rischio la sicurezza , e la continuità del servizio negli ospedali pubblici.
«Qui si parla, esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, della triste condizione degli operatori sanitari, che non vengono garantiti nel loro sacrosanto diritto di esprimere la loro professionalità al servizio della tutela della salute della collettività, e addirittura, talvolta, questo vulnus organizzativo arriva a mettere a repentaglio l’incolumità stessa degli altri pazienti.
Quanto stiamo raccontando potrebbe potenzialmente verificarsi ogni giorno, da Nord a Sud, e il rischio che tutti stiamo correndo è oggi di una gravità senza eguali: infermieri lasciati letteralmente alla mercé di soggetti fuori controllo, presi a calci e pugni, con interi reparti devastati dalla furia cieca di chi ha scambiato un ospedale per un ring, senza contare le minacce psicologiche e le intimidazioni.
E di arginare “sul nascere” quei fenomeni aberranti, che spesso finiscono nel torbido mondo del sommerso, coperti dal silenzio di chi permette alla paura di averla vinta, neanche a parlarne, visto che, come denunciamo da tempo, la situazione va giorno per giorno peggiorando, perché mancano in tutta Italia i presidi di pubblica sicurezza negli ospedali.
Quando le forze dell’ordine arrivano sul posto, ecco che le vetrate sono già spaccate, le porte sono già distrutte, e gli infermieri o i medici a seconda del caso, sono lì, con quel volto tumefatto o con i lividi sul corpo, simbolo di una impotenza di cui dovremmo sentirci tutti in qualche modo responsabili.
Oltre a scattare la denuncia nei confronti di “personaggi”, vogliamo definirli così, che hanno perso letteralmente il senso della civiltà e della legalità, ci chiediamo cosa accadrebbe, nel momento in cui, come in questo ultimo caso, con il blocco di un intero reparto per oltre un’ora, un malcapitato degente dovesse subire le nefaste conseguenze dell’interruzione del servizio.
Non dimentichiamoci che, nella maggior parte dei casi, siamo all’interno di un pronto soccorso, laddove “all’ordine del minuto” vale la tempestività e prontezza d’azione del personale qualificato: agire senza esitazioni, mettendo in campo tutto il proprio bagaglio di esperienza per salvare vite umane, questo accade, ora per ora, in un pronto soccorso.
Dove finiscono le colpe dei pazienti e dei loro parenti e dove iniziano quelle delle aziende sanitarie stesse?
Abbiamo il dovere di porci questa domanda, oggi come non mai. Da una parte ci sono i pazienti e i parenti degli stessi, autori di episodi da cronaca nera, che mancano oltre tutto anche di senso civico, incapaci di comprendere che, alla base di un sistema sanitario degno di un paese civile, c’è anche la cultura del rispetto e della comprensione, sia della professionalità di infermieri e medici, sempre più vittime sacrificali, sia degli altri malati.
Dall’altra i datori di lavoro non possono più nascondersi: le aziende sanitarie, ma prima ancora Governo e Regioni, potrebbero essere chiamate a rispondere per la loro indiretta responsabilità, nel momento in cui, assenti o carenti gli idonei servizi atti ad intervenire prontamente contro fenomeni di questo tipo, un malato dovesse subire in prima persona le conseguenze di un pronto soccorso che per un’ora avrebbe smesso, addirittura, di funzionare.
Infermieri e cittadini, come in un vortice, sempre più spesso finiscono risucchiati dalla mediocrità e dalla latitanza di chi ha il dovere di tutelare i professionisti della salute nell’esercizio delle proprie funzioni e naturalmente i malati stessi che necessitano di tutte le migliori cure possibili, magari in un frangente in cui pochi minuti in più potrebbero essere fatali», chiosa De Palma.