di Mariantonietta Losanno
Amare (o meglio, accettare di amare) è difficile. Può diventare persino una sfida con se stessi e può presentarsi una valida alternativa quella di ignorare i “problemi” con i sentimenti e mostrarsi imperturbabili, cinici, superficiali. Jacques Audiard stravolge i dettami imposti dal genere e mette in scena una storia d’amore moderna (ma in bianco e nero, e su questo aspetto torneremo) in cui ci sono la precarietà del lavoro, i legami fragili, gli “amori liquidi” – raccontati da Bauman – plasmati da una società che si rifiuta di instaurare relazioni “stabili” perché incapace di gestire gli oneri e le tensioni che comportano.
Émile, Camille, Nora e Amber vivono di speranze deboli, si affannano alla ricerca di approvazione, sono frustrati, soli, infelici. Connettendosi – o riconnettendosi – l’uno con l’altro tentano di dare un nuovo significato all’amore, di concedersi la possibilità di sentirsi vulnerabili; cercano, cioè, di imparare ad amare e di accettare che i “vuoti” non possono essere riempiti da altri “vuoti”. Il loro è un mondo in cui tutto è al tempo stesso possibile e reversibile: ci si può legare in un “attimo” e distaccarsi quello dopo. Tutto è talmente forte e talmente debole. Il regista insiste sul senso di inadeguatezza, sulla paura che si avverte quando ci si espone, sul desiderio – a volte ostinato – di essere compresi ed amati. La modernità della società liquida si inserisce in un affascinante contesto in bianco e nero, come a voler rimarcare il confine tra passato e presente; i tre protagonisti sono il prodotto della realtà descritta da Bauman, ma al tempo stesso sono “antiquati”, come se fossero rimasti “fermi” al passato. O, ancora, come se fossero regrediti. Il bianco e nero, allora, si presta ad una regia audace che si pone l’obiettivo di ridefinire l’amore moderno, attingendo dal passato. Se è vero che oggi ci si conosce virtualmente e che la realtà può essere più facilmente nascosta, è vero anche che ci sono cose che “non invecchiano”. Il bisogno di avere certezze, di stabilire un legame che duri, di pretendere che l’altro esprima dei sentimenti, sembrano appartenere ad un passato che non è mai realmente passato. Chi si conosce su un sito di incontri sembra non avere il “diritto” di parlare di sentimenti, di paure, di insicurezze. Come se non fosse concessa una concretezza o come se tale concretezza non combaciasse con la liquidità del presente.
C’è una parte e poi c’è la totalità, come nel XIII arrondissement, in cui c’è tutto e il contrario di tutto. Jacques Audiard mescola erotismo, amore e contraddizioni in un’opera che racconta quanto “profonda” possa essere la “superficie”. Quella che viene definita banalmente come “leggerezza” di sentimenti è – o può essere – in realtà, una complessa analisi di se stessi filtrata e giustificata dalle “regole” di una società nuova. Una società che nega l’amore, il dolore, la rabbia; che respinge, ferisce, annienta. Una società, quindi, priva di regole, dove regna l’anomia (cara a Durkheim): tutto è consentito, semplice, attuabile, rinnegabile.
“Avevo voglia di scrivere una storia d’amore e avevo Éric Rohmer come riferimento. É come se facessi un nuovo inventario sul discorso amoroso. Oggi esiste ancora un discorso amoroso nell’epoca delle App di incontri? Io credo di sì. Ma il processo è invertito”, ha raccontato il regista in un’intervista. Esiste profondità nella leggerezza, e non si tratta di un paradosso.