– di Vincenzo D’Anna* –
Una volta la provincia di Terra di Lavoro si estendeva fino al Nolano ed alla Ciociaria, ragion per cui San Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa, nato a Roccasecca, in provincia di Frosinone, può a ragione considerarsi il più autorevole dei Casertani. Dopo l’unità d’Italia, anche per spezzare il legame che univa Lazio e Campania in quello che era stato il Regno delle Due Sicilie e poi, ancor più durante il Fascismo, buona parte di quella realtà amministrativa fu smembrata ed annessa alla provincia di Napoli. Fu poi ricostruita nel dopoguerra sotto la guida del presidente, don Clemente Piscitelli, parlamentare della Costituente e, nelle prime legislature, ridotta nella sua espansione topografica ma pur sempre appartenente a quella Campania Felix di cui Plinio il Vecchio decantò bellezze ed opulenza. Con il passare degli anni, l’industrializzazione e la progressiva borghesizzazione del ceto contadino hanno trasformato il Casertano in una terra che conserva ben poco della fertilità di una volta, ancorché siano tuttora presenti, sui propri appezzamenti, talune coltivazioni simbolo come la canapa. Ancora, restano, come pregio, la mozzarella, gli ortaggi e la frutta dei fondi intorno a Casal di Principe e Villa Literno nel mentre l’apparato industriale è stato, via via, soppiantato dalla grande distribuzione e dal terziario. Quel che, invece, non ha conservato nulla dei pregi e della autorevolezza di un tempo è la scena politica, calcata da comprimari con scarsa incidenza presso i decisori politici napoletani e salernitani che imperano alle spalle di Vincenzo De Luca il governatore della Regione. Lo sceriffo, d’altronde, ha sapientemente applicato il vecchio e mai fallace criterio del “divide et impera” predisponendo, in assenza di partiti degni di tal nome, liste civiche, facendo eleggere un candidato per ciascuna di esse. Risultato: una rarefazione ed una partizione dei consiglieri regionali che, in ordine sparso, vaga incessantemente per Comuni ed Enti territoriali, a caccia di adepti e voti personali, distribuendo quel poco che raccatta in Regione ove è chiamata a svolgere una funzione allegorica da muta astante. Nessuna collaborazione tra i medesimi, né progetti comuni per risolvere antiche e grosse criticità. Che la classe politica casertana potesse ridursi a fare da comprimaria, era nell’ordine delle cose e del tipo di politica rabberciata alla meglio che i simulacri di partito, ancora esistenti, hanno prodotto in questi ultimi anni. Non migliore è la situazione del campo parlamentare soprattutto per quanto riguarda gli ectoplasmi grillini approdati, loro malgrado, sugli scranni delle due Camere. Eppure questa era terra di ministri e sottosegretari, di movimenti politici organizzati e partecipati. Non a caso la provincia più bianca d’Italia per messe di suffragi elettorali ai tempi della democrazia cristiana, era proprio quella di Caserta. Non mancavano, sia chiaro, anche negli altri partiti, uomini validi ed acculturati, così che la vita politica scorreva sui binari di una dialettica viva e vitale. Tuttavia anche per questo desolante stato di fatto, questo oblio malinconico ha una propria ragione di fondo. Innanzitutto la nascita, sul piano nazionale, dei partiti personalizzati etero diretti dal titolare della “ditta” che ha trasferito sui territori “cacicchi” e capibastone, fatti a propria immagine e somiglianza nelle costumanze, nei metodi di cooptazione dall’alto e di gestione pressoché oligarchica. Ma oltre a questo, Caserta ha subito un ulteriore depauperamento: un’influenza esterna determinante e decisiva per le sorti di tutta la provincia. Una dequalificazione che è andata ben oltre il declino dei vecchi partiti, delle forme di militanza e di partecipazione, del portato valoriale ed ideale delle singole sigle. Una complicanza mortale per la classe politica locale, che ha spazzato via quello che di residuale era rimasto e che avrebbe potuto rigenerare le basi e la qualità minima dell’agire politico. Di cosa stiamo parlando? Semplice, per quanto sussurrato da molti sono pochi coloro i quali ne hanno denunciato il modo illegittimo e proditorio. Stiamo parlando della costante opera di delegittimazione di certa magistratura che ha colpito, come i grani di un rosario, quasi tutti i protagonisti della scena locale, sopratutto i più noti ed i più votati, trascinandoli alla sbarra sotto il peso di accuse roboanti ed infamanti ma quasi sempre finite nel nulla con tanto di assoluzione piena. Nel centrodestra s’è fatta praticamente tabula rasa ed un’intera generazione di politici è finita letteralmente stritolata dalla macchina del fango e dei processi mediatici. Nel centrosinistra un po’ meno, ma anche lì certe toghe si sono fatte sentire. Che l’ex leader di FI Nicola Cosentino, l’ultimo dei politici di rango, non fosse camorrista lo sapevano tutti, che i processi imbastiti contro altri politici ed amministratori comunali e regionali fossero farlocchi era ben noto. Però erano di area politica non consona a quella di certi giudici e come tali, dunque, da considerarsi criminogeni nel loro agire. Messi nell’angolo non per volontà popolare ma per ingerenza giudiziaria, in una provincia diventata terra d’ingiustizia e di silenzi. Così come silenzioso rispetto al clamore iniziale è’ passata l’assoluzione di Carmine Antropoli ex sindaco di Capua. L’ultimo di una lunga fila della mattanza politica casertana.
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