ROMA – Siamo ancora una volta di fronte a fenomeni di aberrante violenza, che ormai ogni giorno si consumano negli ospedali italiani, diventati incredibilmente “veri e propri ring”, con i pronto soccorsi trasformati in campi di battaglia e con gli infermieri costretti al ruolo di vittime di vergognose aggressioni, legate all’incontrollata e imprevedibile reazione di pazienti e parenti, che scatenano con modalità incivili le loro ansie sugli operatori sanitari.
Solo negli ultimi giorni gli episodi di brutale rabbia, sfociata in calci e pugni ai danni degli infermieri, sembra che abbiano raggiunto l’acme assoluto, ciò nonostante la risposta del Governo e delle Regioni tarda ad arrivare , tra leggi inefficaci che servono solo come palliativi, perché incapaci di arginare il triste fenomeno alla radice, e perché mancano presidi delle forze dell’ordine, soprattutto negli ospedali del Sud, ormai diventati veri e propri teatri di guerra.
Eccoli i nuovi fatti di cronaca che non vorremmo mai raccontare. Tutti guarda caso avvenuti nei pronto soccorsi, laddove dovrebbe vigere la regola della tempestività, della prima e pronta diagnosi di patologie gravi, dell’intervento immediato per salvare vite umane, invece i professionisti non vengono in alcun modo messi nella condizione di esprimere il loro delicato mandato, costretti per di più a lavorare nella paura, nell’angoscia, nel terrore.
Che fine hanno fatto i principi basilari di sicurezza che andrebbero garantiti ogni giorno, da parte dei datori di lavoro, nei confronti di chi deve tutelare la salute dei cittadini e spesso combattere faccia a faccia con la morte?
Calabria, provincia di Cosenza, ospedale di Corigliano Rossano, giorni 7 e 8 maggio: in 48 ore si sono consumati ben due episodi di aggressioni ai danni di infermieri nel medesimo pronto soccorso.
Un parente di un paziente, che lamentava presunti ritardi nell’assistenza di un congiunto, ha scatenato tutta la sua rabbia contro un infermiere, mentre poche ore prima un giovane aveva devastato i locali del pronto soccorso in preda ad un inspiegabile raptus.
Catania, 6 maggio ospedale Cannizzaro: calci e pugni contro gli infermieri del pronto soccorso: un paziente infastidito dall’eccessiva attesa è letteralmente esploso, come una bomba a orologeria, aggredendo tutti gli operatori sanitari che gli capitavano sotto tiro.
Napoli, ultimi giorni di aprile, l’inimmaginabile accade ancora una volta all’Ospedale Cardarelli già teatro di episodi inqualificabili: infermiera viene aggredita prima verbalmente, poi fisicamente e scaraventata a terra, alla presenza di tanti altri pazienti e delle stesse guardie giurate che non hanno avuto il tempo di intervenire. Per lei si parla di sospetta frattura della quinta vertebra lombare.
Sempre Campania, ospedale di Acerra, 4 maggio: la Polizia locale è intervenuta presso il pronto soccorso di Villa dei Fiori per un’aggressione ai danni dei sanitari. Poco dopo le 2 di notte è arrivato presso la struttura sanitaria un uomo di 31 anni, privo di sensi. Il personale sanitario lo ha subito rianimato. Dopo essersi ripreso, però, il giovane – di nazionalità bielorussa – ha scatenato il caos. L’uomo ha aggredito medici ed infermieri senza alcun motivo. Poi si è dato alla fuga come il peggiore dei criminali.
Così Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up commenta gli scabrosi avvenimenti.
«I pronto soccorsi degli ospedali italiani sono diventati vere e proprie trincee: solo nel primo trimestre del 2021 si contano centinaia di fughe volontarie di infermieri dai presidi sanitari di pronto intervento. Operatori che, da una parte, stanchi e logorati da una professione che giorno dopo giorno non li ripaga più decidono, nella migliore delle ipotesi, di cambiare reparto per alleggerire il peso di uno stress che è diventato come un macigno insostenibile da sopportare. Nei casi peggiori, addirittura si sceglie di cambiare vita, di abbandonare la sanità, optando per le dimissioni volontarie.
Ma non sono solo i due anni di una pandemia che ha messo a nudo “le voragini” di un sistema sempre più claudicante, a pesare sulla nostra professione.
Non è solo la mancata valorizzazione legata ad uno stipendio tra i più bassi d’Europa, perché siamo i terzultimi in graduatoria con la triste media di 1400 euro al mese.
C’è qualcos’altro che da mesi, unito allo stress della quotidianità, alla carenza di personale, non fa altro che fomentare una pericolosa disaffezione nei confronti di una professione che al contrario andrebbe sostenuta, nobilitata a 360 gradi, per tutto quello che gli infermieri, con la loro preparazione, possono dare ad un mondo sanitario italiano che va ripensato.
E ci riferiamo alla mancanza della minima sicurezza contro i fenomeni delle aggressioni nei luoghi di lavoro.
Mettiamoci ad esempio nei panni delle nostre donne, delle nostre infermiere, madri e mogli, che devono tornare a casa, dai figli e dal marito, con ecchimosi, occhi tumefatti o, nella peggiore delle ipotesi, vere e proprie fratture. Proviamo a immaginare la paura, l’angoscia, il terrore: non si tratta solo dei segni e delle cicatrici sul corpo, ma anche dei ricordi indelebili che segneranno per sempre l’esistenza di persone prima ancora che operatori sanitari. E allora, nei delicati giorni della trattativa contrattuale, urliamo ancora una volta a gran voce il nostro dissenso, la nostra indignazione. Tutto questo deve finire!», chiosa De Palma.