“BURNING – L’AMORE BRUCIA”: DUELLO D’AMORE O DUELLO DI CLASSE?

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di Mariantonietta Losanno 

Lee Chang-dong riprende la trama del racconto breve “Granai Incendiati” di Haruki Murakami, contenuto nella raccolta del 1993 “L’elefante scomparso e altri racconti”, che si concentra su una misteriosa scomparsa e sul segreto di uno dei personaggi. “Dopo aver letto il racconto di Murakami […] non ho potuto fare altro che essere d’accordo con lui: c’era qualcosa di fortemente cinematografico nell’aria misteriosa di quella storia. Un mistero che poteva essere moltiplicato, cinematograficamente, su più livelli. […] “Burning” è un film di rabbia e di mistero”, ha detto Lee Chang-dong. 

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La pellicola si muove tra il dramma esistenziale (e di un ménage à trois) e il thriller, “bruciando”, però, “a fuoco lento”. L’elemento del mistero è tangibile sin dalle prime inquadrature, ma diventa, poi, sfuggente e indefinibile. Il regista lavora per sottrazione, ma questo comporta, nel pubblico, una sensazione di spaesamento quasi frustrante; la soluzione, o le soluzioni (?), in realtà, possono essere tanto varie quanto inesistenti. Lee Chang-dong si concentra su un doppio “duello”, quello che riguarda la storia d’amore tra Jong-su, Hae-mi e il “misterioso” Ben e quello di classe, ricordandoci “Parasite” di Bong Joon-ho o, volendo “esagerare”, anche “Un borghese piccolo piccolo” di Monicelli. Sviluppandosi su due linee narrative, Lee Chang-dong apre più spunti di riflessione: affronta la tematica della ricerca di se stessi e la sottile linea tra il reale e l’irreale; si concentra sulla “rabbia”, quella che “brucia” e che offusca la mente; sui privilegi acquisiti e sulle differenze di “classe”. Quello di Chang-dong potrebbe anche essere un mondo illusorio: perché una ragazza dovrebbe sparire nel nulla? Come è possibile che un ragazzo diventi prigioniero della sua mente a causa della sua passività? E, ancora, come dare un senso alla violenza? Dopo otto anni da “Poetry”, un excursus sulla moralità umana, Chang-dong torna a concentrarsi sulla “coscienza”, senza però cercare una catarsi. O forse quella che viene vista come violenza è in realtà catarsi? 

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A dare complessità all’opera è sicuramente la lotta anti-borghese, intrisa di aspetti non chiariti. Tra gatti invisibili, presunte ossessioni piromani e intermezzi onirici, “Burning” si “riempie” di enigmi. L’alternarsi di presenze – e di assenze – confonde lo spettatore che arriva a domandarsi se tutto quello a cui assistito è reale o immaginario. I personaggi esistono in relazione a Jong-su o anche al di fuori di lui? Sono sue proiezioni – come la madre che riappare dopo sedici anni – o hanno una propria corporeità? O, forse, Chang-dong vuole suggerire l’idea che per sentirsi “vivi” c’è bisogno che qualcosa “bruci”. E a “bruciare” può essere l’amore per uno scrittore come Faulkner (ampiamente citato nel film), l’odio verso chi acquisisce senza meriti privilegi o la rabbia per un’insoddisfazione sentimentale. 

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“Burning” è un lavoro di scrittura, immaginazione e mistero. Ma anche di solitudine, differenze di classe, ossessioni. Si perde, forse, eccessivamente, nell’impenetrabilità del mistero, aggiungendo “complessità alla complessità”, non definendosi mai. È una pellicola con una forte carica ipnotica ed emozionale, capace di caratterizzare i personaggi e concentrandosi sui silenzi e su quello che può essere interpretato e non per forza compreso. Jong-su è un personaggio complesso, che ci ricorda Marcello Fonte in “Dogman”, anche lui “bruciato” dalla rabbia e dal desiderio di volersi fare giustizia da soli. “Burning” si moltiplica fino a smaterializzarsi: quello che “non si vede” è più reale di quello che appare concreto e tangibile.