di Mariantonietta Losanno
Come restituire allo spettatore il ritratto di un artista – o meglio un “non-artista” – cercando di non trascurare alcun dettaglio? Quella di Tornatore è una ricostruzione lunga (non sempre lineare) e costruita per rendere omaggio (senza “prostrarsi”) ad Ennio Morricone attraverso la sua Arte. Un documentario sotto forma di “concerto polifonico” a cui prendono parte (tra gli altri) Bernardo Bertolucci, Dario Argento, Hans Zimmer, Quentin Tarantino, Clint Eastwood, Oliver Stone, Nicola Piovani, Paolo e Vittorio Taviani, Barry Levinson, Bruce Springsteen, John Williams, Quincy Jones. E, ancora, Gino Paoli, Gianni Morandi, Roberto Faenza, Giuliano Montaldo, Lina Wertmüller, Wong kar-wai.
Presentato fuori concorso alla 78esima Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, “Ennio” – Nastro d’Argento 2022 per il Documentario dell’anno – è una riflessione sul Cinema attraverso il Cinema; un’analisi sulla normalità che diventa eccezionalità se non ci si ostina ad inseguire il successo o a concepirlo come unica forma di riconoscenza o gratificazione. Ennio Morricone insegna, svelando come si possa restare sempre se stessi anche essendo “un’altra persona”. Esistono, infatti, “vari” Ennio Morricone. C’è l’Uomo che fa sentire la sua musica a sua moglie (figura silenziosa e dimessa, quasi impercettibile) affinché “vigili sul suo talento”, l’artista che si “insinua” nel Cinema di registi così differenti tra loro senza “giudicarli” nel loro modo di approcciare all’Arte, sapendosi adattare senza conformarsi, il compositore che dedica anima e corpo ad una musica per molti ritenuta non “pura”. Innovazione e semplicità: una rivoluzione che coinvolge le grammatiche di Bach e Stravinskij, l’ispirazione, l’incessante ricerca, la costante volontà di superare l’ultimo punto fissato.
Inseguire il suono, anche solo quello “immaginato”: Ennio Morricone non ha mai smesso di stupire e di stupirsi, inventando un’Arte priva di alcuna barriera di “classe” o definizione applicativa. Tornatore lo racconta con un entusiasmo contagioso, minuzioso e trascinante; ritrae l’Artista senza mai dimenticare l’Uomo, ricordando la severa formazione di Goffredo Petrassi, la telefonata del suo ex compagno di scuola (Sergio Leone), le sue musiche fitte di trame e sottotrame. Ennio Morricone insegna (ed è legittimo parlarne al presente) a perseguire la semplicità e ad approcciare al lavoro con passione, divertimento ed umiltà. Tra racconti, aneddoti e confessioni viene fuori anche il rammarico per non aver mai ottenuto (forse) la giusta considerazione da quel mondo accademico, nonostante l’ammirazione di chi gli riconosce di aver cambiato le regole della musica.
Tornatore, riuscendo a far “ascoltare le immagini” dei film come delle vicende esistenziali di Morricone, restituisce una visione consapevole di un Uomo che è diventato un gigante mantenendo una timidezza e una determinazione abissali. Ascoltare le parole di Morricone significa ascoltare la sua musica. Le cose banali della vita diventano fonte di ispirazione per comporre: basti pensare allo scricchiolio della scala in legno che ha ispirato i primi venti minuti della partitura di “C’era una volta il West”.
Il ritratto di Tornatore sembra “non bastare” mai. Per questo, quindi, si può parlare di una visione consapevole ma mai completa: c’è ancora qualcosa da approfondire e da indagare, non si avverte mai la sensazione di aver esaurito ogni curiosità e, soprattutto, si sente – in modo tangibile – la necessità di voler imparare ancora. Perché Ennio Morricone, con il suo carattere silenzioso, rigoroso e puntuale, ha costruito un’identità solida e inflessibile, che, però, lo ha estromesso non solo dal mondo accademico ma anche da quello degli amici, incapaci di comprendere il suo orizzonte artistico accusandolo di aver “tradito” la musica “vera” per prestarsi a quella del cinema. Ma la chiarezza espressiva vince (anche) sui mancati riconoscimenti e sui simboli di un successo mai rincorso. Ed è qui che si acquisisce un ulteriore insegnamento: inseguire le proprie passioni, coltivare, “viverne”, al di là di quello che viene riconosciuto. Un apprendimento che si può applicare a qualsiasi tipo di Arte o di altra professione. Tornatore non cerca la commozione ad ogni costo, lascia che sia Ennio stesso a raccontarsi; sceglie di dare al racconto un ritmo cinematografico, contraddistinto da un velo di malinconia per un Tempo che se ne va ma, allo stesso modo, resta immortale.
Tornatore ha ulteriormente sublimato la musica di Ennio Morricone, consegnandola all’“eternità”. Una musica in cui rifugiarsi, capace di difenderlo dalla solitudine e dalle fragilità. Basta una nota per riconoscere immediatamente quelle melodie: sono patrimonio collettivo, emozioni condivise da tutti. E questo dimostra (ancora) come non ci sia bisogno di pensare di essere un Genio per essere realmente un Genio. Dedicarsi alla propria creatività e al proprio bisogno di esprimersi, creando più di un’immagine di sé, sono già una vittoria, al di là di tutto quello che può scaturire dopo. Si impara, passando da un tono drammatico a uno divertente, a dedicarsi totalmente alla “propria Arte” mantenendo semplicità, equilibrio, umanità; si impara a “combattere” solo contro se stessi e mai a misurarsi con gli altri. Una lezione di Cinema, di Musica e di Vita.