di Mariantonietta Losanno
“È Aprile. Non possiamo avvicinarci gli uni agli altri a causa di un virus”: Alice Rohrwacher cattura con semplicità ed eleganza un momento storico cruciale, in soli otto minuti. L’atmosfera “sospesa” è la stessa del suo precedente conto – “Omelia contadina” – ma l’azione cinematografica è differente.
In “Omelia contadina” la Rohrwacher e JR (seconda firma del corto), mischiando il linguaggio della fotografia a quello del cinema, celebravano la bellezza dei paesaggi rurali, la forza dei contadini che hanno sofferto miseria e povertà ma hanno preservato la bellezza; riflettevano su come si stia violando lo “statuto etico” della natura facendo governare solo il profitto e la sovrapproduzione. Se, però, in quel funerale atipico e bizzarro, si lottava contro la distruzione dei valori della Terra, in “Quattro strade” ci si riappropria della propria identità personale e “contadina”. Alice Rohrwacher studia un modo alternativo per avvicinarsi agli altri (ma anche a se stessa), in un periodo di “distanza”: usa il suo “occhio magico”, una macchina da presa analogica la cui retina è una pellicola simbolicamente scaduta, ma ugualmente funzionante.
Accompagnata da una musica sognante, si incammina percorrendo una serie di strade; la prima – ad est – la porta dalla contadina Enza e dal suo cane Tigre. “Da lei ogni giorno imparo la tenacia e un discreto senso dell’eleganza”, dice la Rohrwacher; ma non solo: “Spesso la notte, quando ho paura, penso a lei che sta lì da sola, e la paura mi passa”. A sud, invece, incontra Claudio, da cui apprende la “la poesia dello stare al mondo e la discrezione”; poteva diventare un poeta, ma preferisce essere un solitario, un uomo a cui piace “raccogliere fiori da un luogo segreto”, forse persino un “eremita”. Infine, a nord, percorrendo un sentiero “anarchico” arriva alla fattoria di Alessandra, Emanuele e tutta la loro “tribù” piena di bambini ed animali, da cui “impara il lavoro e l’immaginazione”. Rispettando quella che oggi è diventata una prassi ma nell’aprile 2020 – ormai quasi due anni fa – sconvolgeva tutti, Alice Rohrwacher riesce, attraverso il Cinema, a sopperire all’impossibilità di avvicinarsi. Sfugge alla claustrofobia delle videochiamate per “sentire”, per ricordarsi di quegli insegnamenti che la ispirano, per emozionarsi senza cadere nel pietismo, per far parlare gli oggetti, i luoghi, la poesia del saper vivere da soli e del riuscire a percorrere (anche e soprattutto) quei sentieri “anarchici” della vita.
Il Cinema consente di (ri)avvicinarsi con un abbraccio che riduce – e ricuce – le distanze. La macchina da presa restituisce quello che ci è stato tolto: il contatto con gli altri, la co-esistenza. Alice Rohrwacher celebra quell’“anarchia gentile”, quel bisogno di rintracciare poesia nel vivere quotidiano e quella necessità di stupirsi ancora.