ROMA – «Oltre mille operatori sanitari in più si sono infettati nelle ultime 72 ore. Parliamo di oltre 800 infermieri contagiati negli ultimi tre giorni, confrontando come sempre i dati dell’ISS con quelli dell’Inail. A parte la prima ondata, non si è mai registrato un picco così alto di contagi. I dati ISS sono a dir poco allarmanti: da 5592 siamo passati a 6618 operatori sanitari infettati negli ultimi 30 giorni, con un aumento esponenziale registrato nei giorni tra il 24 e il 27 dicembre».
«E’ evidente, osserva Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, che siamo di fronte ad una pericolosa recrudescenza che non è destinata a placarsi. Ci troviamo nel pieno dell’esplosione di una variante, Omicron, che dall’uscio della porta degli italiani, ha ufficialmente fatto il suo ingresso nelle case, nelle famiglie e soprattutto negli ospedali, laddove gli infermieri, già messi a dura prova da due anni di pandemia e alle prese con gli aumenti esponenziali dei ricoveri, sono palesemente, e ancora una volta, i più esposti al rischio. E’ lecito, come non mai in questo frangente, guardarsi negli occhi e interrogarsi a dovere. Poiché, se da una parte gli infermieri erano già da tempo consapevoli e pronti a dover affrontare una nuova battaglia, seppur indeboliti nelle loro energie, da piaghe che lacerano giorno dopo giorno il sistema, come il precariato, la carenza di personale e conseguenti turni massacranti, dall’altra parte va posta all’opinione pubblica la delicata questione della tutela degli operatori sanitari. In gioco ci sono le stesse dinamiche del propagarsi dell’infezione e la qualità delle prestazioni offerte ai cittadini. Insomma, prosegue De Palma, stiamo facendo abbastanza, nel pieno di una nuova emergenza, per mettere gli infermieri italiani nella condizione di affrontare il nemico nella migliore condizione possibile? Siamo certi che gli infermieri in prima linea non stanno di nuovo combattendo a mani nude? Bisogna domandarsi il perché di una recrudescenza così forte. Dipende solo dall’aggressività della nuova variante? In molte regioni, a differenza di qualcuna virtuosa come il Veneto, i tamponi sugli infermieri seguono una cadenza di 10 giorni. Il nostro sindacato da tempo ha suggerito la via di una maggiore tempestività nei controlli, e soprattutto non ha smesso di ricordare che la misurazione dei livelli anticorpali può rivelarsi strumento di prevenzione indispensabile rispetto ad una variante che può colpire inesorabilmente anche quegli infermieri sottoposti alla terza dose, in particolare in presenza di soggetti fragili, over 40, con patologie croniche, fumatori o diabetici. Alla fine l’aggressività del virus può manifestarsi in ogni momento, in modo subdolo, anche laddove peculiari condizioni di debolezza del soggetto lo consentano. E quando parliamo degli infermieri italiani e di vulnerabilità fisica, parliamo di persone a molte delle quali è stato vietato di andare in ferie durante il periodo dell’emergenza che dura da anni ormai, alcuni di loro, troppo spesso, non viene consentito di tornare a casa a fine turno per coprire carenze strutturali. Ad altri, ancora oggi, viene imposto di rispondere presentandosi in servizio anche in presenza di contatti con soggetti positivi, almeno fino all’esito del tampone purché asintomatici. Insomma, fino a dove si pensa che potranno arrivare i nostri infermieri trattati in questo modo? E ci chiediamo pure come mai si parla degli operatori sanitari più colpiti? E poi, ci preoccupa non poco, e vale la pena di citarlo, uno studio recente dell’Università Bicocca di Milano in merito ai tamponi cosiddetti rapidi. Questa indagine dimostra che fino al 50% dei risultati dei tamponi rapidi, rispetto alla variante Omicron, potrebbe generare falsi negativi. Si sta rivelando uno dei fronti più scoperti della lotta alla pandemia. I test antigenici rapidi sono da tempo additati come un anello debole nella catena delle contromisure per arginare la circolazione del virus SARS-CoV-2. Non sarebbe possibile, infatti, riuscire a vedere il virus se non quando è presente in quantità massicce, con il risultato che, in 1 caso su 2, il risultato potrebbe essere un falso negativo. Sono test con una sensibilità estremamente bassa, dicono gli esperti, tanto che i casi positivi sono attualmente rilevati dallo 0,2% dei test rapidi e dal 6% dei molecolari. Inoltre abbiamo oltre il 50% di falsi negativi, secondo quanto indica il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Quando, a distanza di 48 ore dal contagio, il virus inizia a replicarsi, dopo 48 ore diventa visibile al test molecolare, che è in grado di scattare una fotografia molto dettagliata; a confronto il test rapido fornisce un’immagine sgranata. Riesce infatti a vedere il virus solo se la carica virale è di almeno 1 milione di copie per millilitro di fluido biologico prelevato con il tampone. Questa, aggiunge, è una grande criticità. E’ indispensabile, conclude De Palma, non ripetere gli errori fatti nel passato. Gli infermieri e gli altri operatori sanitari in prima linea non vanno lasciati soli, adesso più che mai».