– di PepPe Røck SupPa –
Odio qualsiasi forma di metafisica, qualsiasi discorso metafisico e ogni persona che parli dell’anima o crede di parlarmi con l’anima perché fuori tempo massimo. Da tutto.
L’unica persona, l’unica eccezione è Franco Battiato, da lui accetto tutto e fin da ragazzino mi ha sempre incuriosito il suo universo mondo, la sua Scrittura. Quei mondi lontanissimi eppure vicinissimi. Quest’uomo partì per lo spazio, tra le stelle nel 1972 con l’album Fetus, purissima avanguardia, e probabilmente prima di inciderlo mi piace pensare quanto sia stato ispirato da “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick. Ricordate? Un astronauta arriva ai confini del cosmo e rinasce come superuomo dopo l’incontro con una razza aliena superiore. Anche il feto di Battiato sembra atteso da un analogo destino.
Questi mondi lontanissimi eppure vicinissimi che qualcuno non li scoprirà mai pur avendoli avuti sempre con sé, sepolti nella propria coscienza o se preferite (purtroppo) nell’anima. Può capitare dunque uno strappo nella nostra specie, un anello che non tiene, un distaccamento da tutti gli altri e il nostro sguardo diventa libero e può finalmente vedere l’infinito a portata di mano. A volte lo strappo ha nome e cognome. Appunto, Franco Battiato. Un unicum.
Un Carmelo Bene più sociale, musicale. Basta ascoltare uno dei suoi album, uno qualsiasi, preferibilmente in vinile, appoggiare la puntina sul piatto, lasciarsi accompagnare in un viaggio nel tempo e nello spazio. Forse dal viaggio non torneremo migliori ma avremo una possibilità in più di liberarci dalle nostre “false personalità”, da quei modi di essere imposti dal presente che sappiamo bene quali sono, purtroppo: il conformismo che addormenta le idee e il materialismo che toglie ogni speranza.
La fantascienza, dunque. Il viaggio nell’oscurità delle galassie. La nostra, ad esempio, in Via lattea, brano dell’album Mondi lontanissimi del 1985, dove però qualcosa è cambiato dal 1972, sia nella musica sia nelle parole. L’equipaggio in partenza per Sirio è pronto a perdersi, come il Major Tom di David Bowie in Space Oddity, per acquisire nuove conoscenze lungo le rotte “in diagonale” che conducono a Sirio. Poco dopo, nel 1987, Battiato si riprende il lusso delle avanguardie pure, mettendo in scena una Genesi dove gli angeli creatori del mondo preparano un’arca spaziale per acquisire una coscienza superiore che possa salvare l’umanità dallo scatafascio.
Si parte per il cosmo allora, tra le stelle, si parte però anche per il proprio spazio interiore, sperando di scoprirci non solo pronipoti di sua maestà il denaro ma anche figli delle stelle, come ironizza Battiato nel suo capolavoro pop, Bandiera Bianca, che è avanguardia per le masse, per i più, singolo di un album da più di un milione di copie vendute, primissimo disco italiano a tagliare il traguardo. Ne La Voce del padrone (1981), che conteneva appunto Bandiera bianca, ci sono altri due meravigliosi pezzi che spalancano le porte della percezione. La prima canzone è Segnali di vita dove il pensiero associativo conduce a finestre illuminate dallo spazio: “Le luci fanno ricordare / le meccaniche celesti / lo spazio cosmico si sta ingrandendo / e le galassie si allontanano”. Si risveglia, e “risveglio” è una parola-chiave di Battiato, ancora il bisogno “di una propria evoluzione / sganciata dalle regole comuni”.
La seconda canzone è Gli uccelli, spesso celebrata come una delle migliori composizioni di Battiato, un pezzo che è la quintessenza di Franco, Persona. I movimenti degli uccelli hanno un legame misterioso con il nostro comportamento e insieme riflettono le regole “assegnate a questa parte di universo”. I “voli imprevedibili” e le “ascese velocissime” ci spingono a capire i “segreti” di uno spazio ancora una volta duplice: il “sistema solare” ma anche “il codice” delle nostre “geometrie esistenziali”.
Una canzone che nell’insieme è talmente perfetta che, improvvisamente, alla fine del primo saliscendi armonico, siamo noi ascoltatori a librarci nell’aria. La pazzia del volo, prima della picchiata, è affidata a una sequenza al sintetizzatore, meravigliosa nella sua giocosa spensieratezza.
Franco Battiato era un uomo che ha guardato alla saggezza e alla cultura tradizionale dell’Oriente prima di chiunque altro in Italia e sapeva realmente andare in luoghi sconosciuti con la musica.
Pensate per un attimo ad Einstein, che ha insegnato al mondo intero i rapporti complessi che uniscono lo spazio al tempo e alla velocità. Il sogno di Battiato era invece uscire dallo spazio e dal tempo, No Time No Space si intitola un altro dei suoi fantastici pezzi, e La cura, forse la più struggente delle sue canzoni, riflette la volontà di fermare le leggi del mondo fisico, pura utopia (chissà magari un giorno ci riusciremo), scendere dalla macchina umana, annullare il tempo, arrestare la vecchiaia e porre fine alle malattie delle persone amate.
Ed ecco la meno scontata e più semplice definizione di “amore” mai incisa da un cantante italiano: “Supererò le correnti gravitazionali / Lo spazio e la luce per non farti invecchiare / E guarirai da tutte le malattie / Perché sei un essere speciale / Ed io, avrò cura di te”.
Sì, lui, Franco Battiato, ha avuto sicuramente cura di noi.