“IL SOSPETTO”: THOMAS VINTERBERG IN (DIS)EQUILIBRIO TRA PRESUNZIONE DI INNOCENZA E TEORIE SOCIOLOGICHE DELL’ETICHETTAMENTO

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di Mariantonietta Losanno

“Presto o tardi un uomo che indossa due facce dimentica qual è quella vera”: tra indizi schiaccianti, un mix di elementi giusti (sesso, perversioni, dissociazioni della mente) e un epilogo a sorpresa, “Schegge di paura” illudeva lo spettatore di poter prevedere il corso della narrazione. Quel doppio ruolo di Edward Norton – perfettamente a suo agio nel mostrare “due facce” come in “Fight Club” – si addice anche a Mads Mikkelsen ne “Il sospetto”

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Bisogna partire da un presupposto fondamentale: quella di Vinterberg non può essere definita una regia facilmente accessibile. Lo ha dimostrato nel 1998 quando portò a Cannes il suo “Festen” e inaugurò la (breve ed intensa) stagione di “Dogma 95”, il movimento fondato insieme al connazionale Lars Von Trier; e nella sua ultima opera, un “inno alcolico alla vita” – “Druk”, tradotto “volgarmente” in “Un altro giro” – premio Oscar 2021 come miglior film in lingua straniera. Una regia, quindi, che – sintetizzando senza semplificare – potremmo definire “provocatoria”, capace di mescolare generi differenti e, soprattutto, imprevedibile. Quel “fanatismo” dichiarato in “Dogma 95”, nonostante il movimento non ebbe durata lunga, proseguì autonomamente; quei precetti “no filter” che si imponevano di “estrapolare la verità dai personaggi e dalle situazioni” rimasero saldi anche nelle successive opere. Un cinema, quindi, “ideologico” e “in cerca di verità”. Però, alle provocazioni di Lars Von Trier, messe in scena con una crudeltà cinica e con l’intento di “sporcare”, Vinterberg risponde con una dose (pericolosa) di imprevedibilità. L’elemento “insospettabile” si presenta sin dalla sinossi: Lucas, un educatore in un asilo nido di una piccola città danese, viene accusato di pedofilia. Ci si aspetterebbe, dunque, un “legal thriller” (“Il caso Thomas Crawford”, “L’uomo della pioggia”, “Una doppia verità”), ma Vinterberg manipola gli spettatori focalizzandosi sull’idea di “colpevolezza sociale”. Tra i casi di cronaca nera più conosciuti rientrano certamente quelli in piccoli paesini, come Cogne, Garlasco e Brembate Sopra; le cittadine poco abitate, poi, sono state motivo di fascino morboso anche e soprattutto per artisti come David Lynch, che in “Twin Peaks” cercava l’assassino di Laura Palmer, o per altri prodotti cinematografici come “Broadchurch”, “Dark”, “Bordertown”. E ne “Il sospetto” la vera protagonista è proprio la cittadina in cui avviene il (presunto) crimine. 

%name “IL SOSPETTO”: THOMAS VINTERBERG IN (DIS)EQUILIBRIO TRA PRESUNZIONE DI INNOCENZA E TEORIE SOCIOLOGICHE DELL’ETICHETTAMENTOAi “tribunali del popolo” piace condannare e processare nonostante sussista solo l’ipotesi di colpevolezza. È la cittadina che rende colpevole il protagonista o la colpevolezza è reale? Vinterberg confonde (volutamente) le carte in tavola, mettendo lo spettatore nella condizione di trovare autonomamente gli indizi; nella prima parte del film, infatti, la vittima/colpevole viene presentato come un uomo incapace di commettere il reato di cui viene accusato, ma anche questa potrebbe essere una mossa studiata per destabilizzare, poi, il pubblico in un secondo momento. C’è qualcosa di schematico, enigmatico e programmato nel pessimismo che impregna l’intera pellicola: se l’innocenza sembra conclamata, come si spiega l’accanimento? Lucas è realmente il “mostro” o è stato “cacciato” (come ci suggerisce il titolo originale del film “Jagten”, ovvero “la caccia”)? Quegli “spari” – metaforici e reali – hanno un senso all’interno della storia? Potrebbe trattarsi – “semplicemente” – di quel processo di costruzione del criminale attraverso un’“assegnazione” analizzata da studiosi come il sociologo Howard S. Becker. Questa teoria sociologica della devianza spiega come possa essere proprio l’“etichettamento” ad innescare un processo in grado di trasformare l’autore vero (o presunto) di un singolo reato in un delinquente cronico; analizza, dunque, come possano influire su questo processo sia le conseguenze della diffidenza e della stigmatizzazione della collettività (in grado di ristrutturare la percezione di sé da parte del “criminale”), che l’isolamento e l’esclusione sociale. 

%name “IL SOSPETTO”: THOMAS VINTERBERG IN (DIS)EQUILIBRIO TRA PRESUNZIONE DI INNOCENZA E TEORIE SOCIOLOGICHE DELL’ETICHETTAMENTONessun salto temporale, nessuna colonna sonora non pertinente alla narrazione, nessun filtro: la regia di Vinterberg vuole imporsi come “autentica”. Come comprendere, allora, la mancanza di una spiegazione che chiarisca e distingua le vittime dai colpevoli? Innanzitutto, concependo l’idea di un cinema che se da una parte si lascia manipolare, dall’altra si sofferma a riflettere; in secondo luogo, considerando l’ipotesi che certi “colpi” vengano “mirati” e altri partano accidentalmente. “Il sospetto” si scontra con le teorie sociologiche, gli ideali morali e una rappresentazione cinematografica che mantiene uno “sguardo sospettoso”, come quello enigmatico di Mads Mikkelsen rivolto al padre della presunta vittima.