“STRAPPARE LUNGO I BORDI”: SIAMO TUTTI “FILI D’ERBA” PIENI DI “CICATRICI”

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di Mariantonietta Losanno 

Basta davvero seguire il percorso pre-ordinato dalla linea tratteggiata per sentirsi appagati? Zerocalcare è – forse – “difettoso” come tutti noi, incapaci di trovare tra “ottomila film” su Netflix uno che ci soddisfa, “fili d’erba” in un prato che cercano (disperatamente) di aggrapparsi a “pensieri belli”. 

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È proprio uscendo da quei confini prestabiliti e limitanti che “Strappare lungo i bordi” riesce a diventare il racconto di un’intera generazione, una sorta di seduta di psicoterapia “collettiva”. Il punto di partenza è un viaggio: Zero e i suoi amici Sarah e Secco sono in partenza per Biella. Proprio il viaggio – che presuppone una partenza e un arrivo – si presenta come l’“occasione narrativa” per analizzare se stessi, per perdersi tra domande e immaginando universi paralleli in cui le cose, forse, sarebbero potute andare diversamente. Una cosa è certa: per evolversi bisogna imparare a guardarsi dentro e non più né attorno, né fuori. “È inutile che vivi fuori se muori dentro”: l’errore sta proprio nell’osservarsi come ci vedono gli altri, senza pensare che gli occhi che abbiamo sempre regalato a tutti, possiamo offrirli anche a noi stessi. Alcune volte, poi, questo processo di “conoscenza di sé” può fare malissimo; ma, il dolore che si può provare nell’accettare certe cose, vale tutto lo stupore del riconoscersi per la prima volta. E scoprirsi fragili, inadeguati, insoddisfatti. Sarebbe più facile, allora, “strappare lungo i bordi” delicatamente, senza “rompere” nulla, seguendo un percorso tracciato – magari da altri e non da noi – e continuare, così, a non sentirci consapevoli. Zerocalcare vuole fare un po’ questo: attraverso il suo vissuto – tra flashback e aneddoti – portare di fronte all’evidenza dei fatti. Se bastasse seguire quei tragitti scanditi da tappe, evitando gli “strappi”, eviteremmo di avere paura, di deludere gli altri? Il nostro “armadillo personale” interverrebbe subito per giudicarci, per analizzare i nostri tentativi di “autosabotazione”, per sottolineare le nostre incoerenze e le nostre zone d’ombra.

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Zerocalcare ci mette alle strette. In un alternarsi di momenti ironici, divertenti, teneri, “teen”, dolorosi, il tempo passa velocemente, forse anche troppo. In novanta minuti ci troviamo costretti a metterci in discussione, consapevoli di dover fare un passo ulteriore nell’auto-introspezione per uscire da quei “bordi”. Ed è qui che ci sentiamo obbligati ad affrontare quei sensi di colpa distruttivi, che possiamo ridimensionare solo immaginandoci come “fili d’erba che non hanno la responsabilità per tutti i mali del mondo”. Nelle digressioni di Zero c’è un mondo di ricordi e di riflessioni; c’è il ritratto di una generazione – gli anni Ottanta – segnata dal G8 (i ricordi sono vividi anche solo per chi non li ha vissuti in prima persona, ma ha ricostruito il “trauma psicopolitico” attraverso documenti, processi o film come “Diaz”), dal punk rock dei “The Clash” (che diventano “I clesh” in un poster nella stanzetta di Zero, accanto a quello degli “Ingloriosi malandrini” di Tarantino), dal terrorismo e dal desiderio di rivoluzione e di riscatto. Con il suo flusso di coscienza romanesco, Zero ci ricorda che l’“insignificanza” di essere solo “fili d’erba” è quello di cui abbiamo bisogno per affrontare la vita con leggerezza. E affrontare, così, anche la morte “prendodola in giro”, esorcizzandola, impedendole di prendere il sopravvento e di avere il Potere. Per “essere vivi dentro” bisogna imparare a parlare a se stessi, ad interrogarsi, a chiamarsi, a farsi coraggio. 

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“Strappare lungo i bordi” si muove tra idea e realtà, potenzialità e quotidianità, quello che dovremmo o vorremmo essere e quello che siamo.

Quello di Zerocalcare rimane sempre uno sguardo che non si arrende alla disperazione, alla retorica, al nichilismo. Nonostante non ci si senta all’altezza, ci si trovi spesso fuori luogo, si ingigantiscano problemi fino a farli diventare insormontabili, ci si perda in “viaggi mentali” che accendono pensieri da cortocircuito, la vita “non si deve schivare”. Strappando lungo i bordi si vive nel temporeggiamento e nella procrastinazione, nelle abitudini che (apparentemente) ci fanno sentire al sicuro. Zerocalcare si pone come “narratore autentico”, capace di sintetizzare un sentire comune e di fornire allo spettatore “soluzioni” che vivono di contrasti, ma perfettamente coerenti. Strappare lungo i bordi, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui siamo destinati, significa imporsi confini, seguire una strada “indotta” e non scelta; come quando da bambini si ritagliavano le figure seguendo i bordi, con la paura che si rompessero. Quello strappo, invece, è tanto necessario quanto doloroso. Ed è proprio da quella cicatrice (quindi, da quel dolore) che ci si trasforma.