“DE ANDRÉ#DE ANDRÉ – STORIA DI UN IMPIEGATO”: DEDICATO A CHI VIAGGIA “IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA”

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di Mariantonietta Losanno

“De André#De André – Storia di un impiegato” è il racconto di un figlio che interroga suo padre rintracciando, nel patrimonio comune, i loro ricordi. Cristiano De André si confronta con l’eredità politica, artistica e personale di suo padre, raccontandolo sia come uomo che come poeta; e lo fa nella casa di famiglia in Sardegna, luogo ideale per dare libero sfogo ad un flusso di pensieri, parole e – naturalmente – di musica. 

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“Storia di un impiegato” è un album che ha assorbito tutti gli elementi sociali e biografici del periodo storico in cui è stato pubblicato. Registrato negli studi Ortophonic di Roma e pubblicato nel 1973, acquisisce una sua non trascurabile necessità. Per molti aspetti è una risposta, come sempre molto personale, alla domanda di coinvolgimento che circolava nell’aria. E De André, a quel tentativo di rinnovamento, partecipava, stando a contatto con gruppi di estrema sinistra senza mai ricorrere alla lotta armata, ma promuovendo i sessantottini attraverso le sue canzoni. Condivideva la rivolta contro un “certo” modo di gestire la società che non teneva minimamente conto della società stessa. Il ‘68 è stata una “rivolta spontanea”, che ha ottenuto diverse vittorie (come la liberazione sessuale, nonostante fosse frustrata dalla paura dell’Aids o la libertà di informazione), anche se “il fatto che non sia riuscita forse è un bene, se è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione è che, una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano di essere tali per diventare amministratori”, ha detto De André. Però, nonostante le evidenti “intenzioni” politiche, che emergono con particolare intensità in pezzi come “Canzone del maggio” e “Nella mia ora di libertà”, l’esito più alto è una canzone d’amore, “Verranno a chiederti del nostro amore”, dedicata a Roberta, una donna alla quale Fabrizio fu legato per circa due anni da una relazione molto sofferta.

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“Storia di un impiegato” ha “costretto” De André a prendere una posizione: “Per quanto voi vi crediate assolti/siete per sempre coinvolti”, ammonisce Fabrizio al principio e alla fine del suo “concept-album”. È una riflessione sul potere, che vede come protagonista un impiegato trentenne che, nel ‘68, dopo aver ascoltato un canto del Maggio Francese, sente il desiderio di ribellarsi; avverte di essere in una “gabbia” che non gli permette di cambiare una società che ogni giorno lo opprime. Non ha sentito la rivolta sulla sua pelle, si misura con gli attivisti a distanza, cerca di capirli o sogna solo un’idea per farlo. Ed è proprio sognando ad occhi aperti che riesce a smascherare le ipocrisie e i meccanismi di un potere che sente l’esigenza di rinnovarsi ma di rimanere sempre presente nella società. E arriva anche a “chiedersi del suo amore”, a soffermarsi sull’idea di fallimento, sul suo modo di vivere; su quanto “Loro” – i detentori del potere – siano “riusciti a cambiare” sia lui che la sua amata. Con l’esperienza del carcere, poi, l’impiegato arriva (finalmente) a redimersi. Trovandosi a condividere spazio e tempo con uomini con diverse ideologie, sogni e speranze, tutti “vestiti uguali”, cioè posti sullo stesso piano, riesce a trovare un equilibrio. Comprende, allora, come non esistano “poteri buoni”, ma solo persone che hanno la possibilità di usare il bene e il male al proprio servizio, decidendo come servirsene; è proprio l’esperienza collettiva della detenzione, quindi, a far scaturisce un’illuminata riflessione personale e, paradossalmente, a far tornare al punto di partenza, quello secondo il quale siamo tutti “per sempre coinvolti”. Ne consegue un bisogno di agire in nome di un “Noi” non di un “Io”.

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“De André#De André – Storia di un impiegato”, presentato in anteprima internazionale al Festival di Venezia nella sezione Fuori Concorso, è un’opera intrisa di malinconia, rivolta a quelle anime (salve) che viaggiano “in direzione ostinata e contraria”. È un inno alla solitudine – per chi se la può permettere – che porta a straordinarie forme di libertà. Un racconto rivolto anche a “chi aspetta la pioggia per non piangere da solo”. Una lotta faticosa che è, al tempo stesso, personale e collettiva. È un album di famiglia e un racconto politico, un atto d’amore e una narrazione sincera, un’opera ancorata al passato ma rivolta al futuro. È la “storia di un impiegato” ma anche un’indagine sensibile su Cristiano che sente la necessità di esprimere le sue ferite, la sua difficoltà di confrontarsi con l’eredità del padre, i suoi conflitti interiori. Probabilmente, è anche un’opera incapace di “esprimere tutto”; in fondo, lo dice stesso De André: “Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”