ROMA – «La triste e frustrante realtà dei “magri” stipendi degli infermieri italiani è sotto gli occhi di tutti. Da anni il nostro sindacato denuncia all’opinione pubblica questa scabrosa situazione.
Quanto emerge dalla graduatoria riportata, da ultimo, anche da alcuni quotidiani nazionali, in questi giorni, ci spinge a doverose riflessioni in merito a una situazione a dir poco sconfortante, e rilancia il desolante quadro che disconosce e non valorizza la realtà professionale infermieristica nell’ambito del nostro sistema sanitario.
Si signori, l’infermiere italiano è sempre lì, agli ultimi posti di una “amara” classifica che lo vede, nel Vecchio Continente, collocarsi in una posizione dove solo Grecia ed Estonia stanno peggio di noi.
I 27.382 euro annui di media dei professionisti di casa nostra rappresentano una cifra lontana anni luce dai 32.092 della Francia, dai 34.212 della Spagna, per non parlare delle “isole felici” Germania (45.000) e Irlanda (48.167).
II Lussemburgo con i suoi 91.920 euro di media all’anno di stipendio rappresenta poi decisamente un altro pianeta.
La Grecia con 19.067 e l’Estonia con 16.353, come già detto chiudono la classifica. Ma non è una gara, non esistono promozioni o retrocessioni.
Gli infermieri Italiani sono quelli con livelli elevati di qualificazione universitaria, dottori con tutte le responsabilità del caso, ma secondi – per stipendio – alla stragrande maggioranza dei colleghi europei, anche di quelli che non possiedono la qualifica accademica di dottore.
E come se non bastasse, proprio all’interno del Servizio Sanitario Italiano, si delineano situazioni ancora più complesse e contorte, segnale palese della schizofrenia di un sistema fragile e privo di quella uniformità di regole che un Paese civile dovrebbe garantire rispetto al marasma in cui si trovano le nostre Regioni.
E’ proprio a questi livelli, infatti, che ci troviamo ancora una volta di fronte alle altalene di 21 sistemi sanitari per 21 territori diversi.
La graduatoria degli stipendi degli infermieri italiani, Regione per Regione, ci racconta, da anni, di una disparità inspiegabile. Basti pensare che all’ultimo posto c’è il Friuli Venezia Giulia, Regione certo molto più virtuosa rispetto ad altre dal punto di vista finanziario, simbolo per certi versi di quel nord-est che negli anni ha rappresentato una certa solidità economica. +
Che succede? Possibile che di fronte alle medesime responsabilità ed attività professionale, un infermiere italiano debba guadagnare di più o di meno, in funzione del sistema sanitario regionale in favore del quale opera ? Sono accettabili differenze che raggiungono anche la non trascurabile cifra di oltre 10mila euro all’anno in dipendenza della Regione ove si trova l’azienda sanitaria di riferimento? Quali sono le motivazioni che si celano dietro questi differenti trattamenti ?
In pieno clima di trattative per il rinnovo contrattuale del comparto sanità, ora più che mai, urge individuare un meccanismo che garantisca l’equilibrio degli stipendi “a livello nazionale”, in modo da superare le evidenti differenze che esistono tra Regione e Regione. Bisogna uniformare il compenso degli infermieri italiani, portandolo al livello di quello dei colleghi europei, per rimuovere la grave sperequazione esistente, e bisogna agire con i medesimi criteri anche sugli stipendi delle altre professioni sanitarie con analoga base giuridica.
Per noi il tempo ed il luogo giusti per fare tutto questo coincidono con il fondamentale rinnovo del contratto in corso.
Ci chiediamo, di fatto, se davvero saranno con noi gli altri sindacati nel sostenere queste richieste.
Ci aiuteranno a fare muro verso le Regioni e l’ARAN , affinché finalmente aprano gli occhi su questa non più procrastinabile esigenza?
E’ tempo di comprendere, finalmente, che siamo di fronte a un contratto di vitale importanza per tutte le categorie della sanità, fondamentale per capire se la pubblica amministrazione e chi la rappresenta, si rendono conto del reale valore, dell’importanza, che tutte le professioni sanitarie rivestono, con un occhio particolare alla professione infermieristica ed a quella dell’ostetrica, per le peculiari responsabilità che li riguardano, non ultimo, lo strenuo impegno profuso ogni giorno durante la pandemia, anche a costo della propria vita», conclude De Palma.