OSPEDALE CARDARELLI, SALVIAMO L’UO TERAPIA DEL DOLORE, DE LUCA IMPEDISCA LA VERGOGNA DELLA CHIUSURA

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Di Francesca Nardi

Il dottor Vincenzo Montrone, primario dell’UO di Terapia del Dolore e Cure Palliative dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, nel 2016, va in pensione. Dietro di lui si afflosciano come marionette senza fili, i pensieri bugiardi, le intenzioni farlocche, le assicurazioni infami…quel tutto e quel niente che, per anni aveva tessuto e filato impalcature fasulle, giochi d’aria e di carta creando l’illusione della continuità. Il primario se ne va in pensione e con lui, secondo la scuola di pensiero del disincanto, scompaiono dietro l’angolo la passione, il sentimento, la pietas… Il miglio verde dell’esistenza, è un sentiero sconosciuto al genere umano…devi guardarti dentro per trovarvi la traccia…per scoprire l’orma leggera del dolore altrui, quello che urla nella notte più buia…così buia da lasciarti fuori, da impaurirti …Devi imparare a pensare, dopo esserti fermato sulla soglia della tua esistenza, per riuscire a percepire quella di un altro… La sua morte annunciata ti passerà accanto e non la riconoscerai…e andrà a raggiungere le morti dannate che ti hanno sfiorato mentre guardavi altrove…e uomini e donne condannati al dolore, moriranno in solitudine, invocando la morte perché nessuno ha raccolto il loro lamento e lenito il loro dolore. Si muore dannati nella carne e nello spirito, se nessuno ferma la ferocia dell’aggressione spietata della malattia al corpo. Il male consuma e logora l’anima e la mente…nessuno dovrebbe morire disperato, consentire che accada è disumano. Allargare le braccia fingendo impotenza è un’infamia…Il reparto della Terapia del Dolore del dottor Montrone, era il fiore all’occhiello dell’Azienda Ospedaliera partenopea Cardarelli, il più grande Ospedale del Sud…era la magica dimensione in cui la paura del buio che avanza, si affievoliva, dove il rintocco del tempo che scorreva inesorabile, aveva possibilità di diventare cantilena, dove il silenzio poteva essere avvertito, come una piuma leggera profumata di sole…era l’impossibile che diventava possibilità universale, era il luogo dove la solidarietà offriva un senso ai miracoli. Era un angolo di dolorosa, ma serena consapevolezza. Oggi quel fiore all’occhiello è ridotto a due stanze e a quattro letti ed il personale al minimo. Oggi il malato terminale, assiste alla morte del compagno di stanza ed inizia a morire…I padroni del vapore sono esseri inqualificabili, pedine senza storia né anima, che veicolano interessi in nome e per conto. Carriere, prebende, favoritismi, raccomandazioni, concorsi barzelletta e avvisi da salumeria all’angolo del vico Scassacocchi. E la UO della Terapia del Dolore, che si riduce di un’altra stanza e poi un’altra e poi sarà soltanto un ricordo…Qualcuno dovrebbe pretendere risposte chiare, dal governatore De Luca e da questo Dg Longo e dai suoi aiutanti di campo…se rimane loro un residuo di coscienza…sempre che i calcoli per rimpinguare le strutture private in alternativa, siano stati completati, o no? Dovete vergognarvi…il significato e l’intensità di quel dolore che porta l’altro a morire dannato, vi investirà soltanto se il destino vi attirerà nei suoi tranelli…altrimenti non ci sarà speranza. Ma noi o altri continueremo a scuotere queste vostre ridicole stampelle ottenute grazie a mammà, a papà o al cumpariello di turno che gioca con la zia Nannina. Ma ciò che sentiamo anche per voi, è una vergogna profonda. Il senso di ciò che scriviamo, quasi quotidianamente, sulla decomposizione del servizio sanitario, è condensato nelle parole di chi ha perso l’ultima illusione…” io so che devo morire” , solo due occhi scuri ed il riflesso del pallore che accompagna i silenzi della vita che si allontana …ed una voce che racconta di sé e di una donna che piegata dal dolore, urlava nella notte: “fatemi morire”…e poi un’altra voce, sottile, pacata, che emerge dai giorni bui, sincopata da pause di strana serenità…e improvvisamente la voce si consuma in un volto, quello di un ragazzo che prima d’andar via, ha voluto raccontare come, persino l’ultimo tratto di una vita troppo breve, può essere affrontato se il dolore si allontana. Abbiamo le tasche sformate dal peso della sconfitta…un gomitolo stretto di confusione e disagio, appesantisce la borsa della spesa che trasciniamo lungo i silenzi che abbiamo addensato negli angoli bui delle nostre esistenze. Eravamo soli ma non avevamo contezza della solitudine…pensavamo fosse un nemico nascosto nell’ombra, indefinibile come la notte che sfuma…Il peggiore nemico di noi stessi è al nostra disumanità…il peggiore dei mali siamo noi…