di Adolfo Villani
Ieri giornata nera per i mercati finanziari internazionali con gli indici europei, statunitensi sotto di un paio di punti percentuali. Stamane al ribasso della borsa di Tokyo segue un rimbalzo superiore ad un punto percentuale dei listini europei. Gli indici dei futures USA annunciano una apertura pomeridiana positiva per le borse statunitensi. I mercati finanziari sono tornati sull’ottovolante. Vediamo innanzitutto la goccia che ieri ha fatto traboccare il vaso già colmo di incertezze da alcuni mesi: le voci sul rischio di default del colosso immobiliare cinese “China Evergrande”. Si tratta di voci confermate da agenzie di rating che segnalano il rischio di liquidità per il grande operatore immobiliare cinese, chiamato entro fine settembre a pagare interessi per oltre 130 milioni di dollari su alcune emissioni obbligazionarie. Stamane un comunicato degli interessati che esprime “fiducia di poter uscire dal momento buio” e l’opinione espressa da diversi operatori finanziari – secondo la quale il fallimento di Evergrande da solo non avrà un effetto sistemico – hanno provocando il recupero in atto di parte del terreno perduto ieri dagli indici di borsa. Reazioni così nervose non si spiegano solo con l’intervento della speculazione che tenta sempre di sfruttare la paura per lucrarvi su. Il problema di fondo è che – dopo una lunga fase di rialzi – si sono accumulate negli ultimi mesi diverse incertezze che rendono estremamente complicata la navigazione sui mercati. La prima incertezza arriva dalla Cina – e non solo a causa degli interrogativi su ciò che faranno le autorità di quel Paese per contenere gli effetti della crisi di liquidità di Evergrande ed evitare uno shock sistemico. Da alcuni mesi le autorità di Pechino hanno impresso un giro di vite sulle società legate ad internet, all’istruzione privata e al gioco di azzardo. Quali effetti questa riaffermazione del primato dello stato può avere sull’economia di un Paese che è da tempo fondamentale per la crescita globale? Porterà ad una benefica redistribuzione della ricchezza a favore dei ceti medi o avrà un impatto negativo su una economia già gravata da un alto indebitamento? La seconda perplessità è legata alla paura che un ritorno prepotente dell’inflazione possa mettere in difficoltà le politiche monetarie accomodanti delle banche centrali, che hanno fin qui sostenuto la ripresa dopo i duri colpi che la pandemia ha inferto all’economia globale. È vero che questa paura è legata proprio al carattere dirompente di una ripresa talmente forte e violenta da determinare una difficoltà dell’offerta in alcuni settori strategici (chip, trasporto, materie prime) in rapporto alla domanda. È anche vero che le stesse banche centrali hanno più volte ribadito la loro convinzione che si tratti di una fiammata destinata a rientrare in breve tempo. Tuttavia i recenti aumenti cospicui sul fronte del costo dell’energia pongono interrogativi non solo sugli effetti che essi avranno nei prossimi mesi sui consumi ma anche sulle cause strutturali di un fenomeno che in parte è legato anche alla fase di transizione verso le energie rinnovabili, imposta con sempre maggiore urgenza dagli effetti devastanti che i cambiamenti climatici stanno già manifestando in termini di alluvioni e incendi sempre più estremi. Il costo dell’energia potrebbe, in questo caso, rendere l’inflazione un fenomeno tutt’altro che di breve durata. C’è infine l’incertezza legata agli effetti che le varianti del covid stanno avendo in Asia, negli Stati Uniti e nelle zone del mondo nelle quali la vaccinazione è ancora al palo per molteplici ragioni. Già gli ultimi indicatori economici segnalano un rallentamento della crescita in diverse aree del mondo. Quali conseguenze potrebbero esserci per la crescita globale se gli sviluppi della malattia dovessero imporre nuovi estesi lokdown? Si tratta di domande legittime. Tuttavia l’esperienza ha ormai insegnato che in questa “età del caos” le incertezze e la volatilità sono un dato strutturale con cui i mercati dovranno convivere a lungo. Guai perciò a lasciarsi guidare dalle emozioni, dalla paura e rinunciare a stare in campo. Con i tassi di interesse ai livelli attuali – destinati a rimanere per ovvie ragioni bassi ancora per molto tempo – la liquidità non paga e diventa anch’essa un rischio. Inoltre l’esperienza insegna anche che rimanere fermi fa’ perdere opportunità. Il 2020, infatti, è stato l’anno nel quale la pandemia ha causato la più grande contrazione dell’economia dai tempi della Grande Depressione del secolo scorso. Eppure l’indice azionario globale ha chiuso l’anno con una crescita del 15 per cento. Una crescita che ha segnato un ulteriore 10 per cento in questi primi nove mesi del 2021. Chi si è lasciato guidare dalla paura rimanendo liquido, o peggio ritirando i propri investimenti subito dopo la batosta, non ha fatto certo un buon affare. Con gli investimenti e i mercati finanziari bisogna avere un approccio basato sulla razionalità. Un approccio rispettoso delle regole che sono in grado di garantire la gestione dei rischi. Chi è consapevole delle proprie esigenze, dei propri obiettivi e dei propri orizzonti temporali, chi si affida alle competenze e alle tecnologie che l’industria del risparmio mette a disposizione di tutti, può navigare con tranquillità anche nella nebbia più fitta