IO SO’ PAZZE

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–   di Vincenzo D’Anna*   –   

Non sono tra quelli che hanno sofferto per l’ascesa di Silvio Berlusconi, non mi reputo né un complessato né un frustrato, le due condizioni esistenziali che alimentano l’invidia sociale e quindi il pregiudizio nei confronti della ricchezza. Come politico, riconosco al Cavaliere molti meriti ma anche altrettanti demeriti, questi ultimi derivanti da un narcisismo, alacremente intinto nella massima considerazione che egli nutre per se stesso. L’ho conosciuto ed incontrato più volte da parlamentare, anche in riunioni ristrette allorquando vestivo i panni del bastian contrario per l’imperversare, in Forza Italia, delle maîtresse che agivano sotto l’emblema del cosiddetto “cerchio magico”. Ho di Berlusconi una certa considerazione per aver egli svolto una funzione di supplenza politica allorquando nel 1994, sfidò e batté Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito comunista italiano è primo leader del Partito democratico della sinistra. Da buon imprenditore, il Cavaliere aveva “fiutato” la debolezza degli antagonisti di Occhetto e di tutti quelli che erano animati da un’antica idiosincrasia per i produttori di ricchezza, nemici del capitalismo e del liberalismo, si opponevano all’ascesa al governo di un uomo come lui. Il Cavaliere comprese che la debolezza caratteriale di Mariotto Segni e l’agnosticismo di Mino Martinazzoli, politici in auge a quei tempi, non avrebbero saputo, potuto o voluto fermare la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. In verità sia Segni che Martinazzoli avevano rifiutato sdegnosi l’offerta berlusconiana di capeggiare la coalizione di centro che egli stesso avrebbe sostenuto e finanziato. Non restava dunque che circondarsi della migliore intellighenzia liberale di quei tempi per dar vita ad un ardito e moderno programma di riforme liberali dello Stato avvilito dal debito pubblico e manchevole di qualsivoglia alternativa di efficientamento burocratico ed istituzionale. Vennero così cooptati al servizio del nascente partito liberale di massa uomini di cultura ed economisti: tra questi spiccavano i nomi di  Marcello Pera, Giuliano Urbani, Antonio Martino, Gianni Baget Bozzo, Paolo del Debbio, Francesco Forte, Marco Taradsh, Carlo Scognamiglio, Giulio Tremonti, Giuliano Ferrara, Fabrizio Cicchitto, Ferdinando Adornato, Gianni Letta. Un gruppo di persone, alle quali si aggregò, successivamente, anche il filosofo marxista Lucio Colletti, convertitosi al liberalismo. Insomma: un pool di primissima qualità, gente qualificata, cooptata per redigere un organico programma riformatore, assistita dalla macchina organizzativa e dagli uomini di Mediaset il polo televisivo privato in forte ascesa in Italia. Berlusconi capeggiò il progetto vincendo a mani basse, coagulando il voto moderato e quello laico socialista. Aiutato dal sistema elettorale maggioritario e dall’alleanza al Sud con la destra di Gianfranco Fini ed al nord con la Lega di Umberto Bossi, il suo partito, Forza Italia, ebbe una maggioranza parlamentare che lo mantenne a palazzo Chigi per un’intera legislatura, (anche se il suo primo governo durò lo spazio di un anno). Tuttavia, con il trascorrere del tempo, molti degli originari propositi riformisti andarono in fumo per le difficoltà di conciliare le riforme di sistema con la traballante economia nazionale e con i veti della politica politicante e degli apparati dello Stato, magistrati compresi. Viceversa, si rivelò scadente la sostanza umana del magnate di Arcore. Dietro l’immagine di filantropo e munifico mecenate della buona politica per il buon governo, si nascondeva infatti, un uomo spietato che aveva dei suoi simili una bassa opinione. L’ex premier iniziò ad utilizzare chiunque potesse per eseguire i suoi disegni trasformando, così, il partito politico in un’icona personalizzata. Amante dei cortigiani regicoda, iniziò ad avere in antipatia chiunque mostrasse capacità e coraggio di articolare un pensiero autonomo. Così il Cavaliere esaltava, di volta in volta, coloro che lo servivano e gli servivano in un determinato momento per poi affidarli all’oblio ed alla critica se non alla ilarità dei nuovi servi. Nulla era lasciato al caso e tutto finiva per sostenere politiche che garantivano tutele personali ed interessi aziendali del padre padrone. Al netto di tutto questo, va detto comunque che Silvio è stato ed è tuttora, un uomo di capacità intellettive e di volontà superiore, capace di giganteggiare nel contesto politico di quei tempi sfruttando l’aura dell’uomo sceso in campo per salvare l’Italia. Al di là dei propri difetti e dei vizi coltivati senza remore, non possiamo dimenticare che l’ex premier è stato oggetto della più grande lotta politica e personale da parte della sinistra con l’appoggio di quella parte di magistratura ad essa collegata (come l’affaire Palamara ha di recente messo a nudo). Insomma: imbattibile nelle urne, il Cavaliere poteva essere eliminato solo per via giudiziaria (una  novantina i processi  a suo carico con circa quattromila udienze!!). Cacciato dal Senato con un artificio legislativo (era stato condannato per aver evaso l’un percento delle tasse dovute!), ora gli si chiede una perizia psichiatrica per i residuali processi di alcova e di soubrette compiacenti. Insomma lo vogliono pazzo o deviato mentale. L’ultima carognata verso un uomo al quale, nel bene e nel male, non si può chiedere di dichiararsi “pazzo”.

*già parlamentare