IL RITORNO DI PIO IX

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–   di Vincenzo D’Anna*   –               

Sono passati ormai centocinquanta anni da quando Giovanni Battista Mastai Ferretti, passato alla storia con il nome di Papa Pio IX, emanò la bolla papale “Non Expedit” con la quale si sconsigliava ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana. Contrariamente a quanto, per risentimento, si disse e si scrisse di questo pontefice che difese e rivendicò fino all’ultimo istante della propria vita il diritto ad esercitare il potere temporale, ovvero la potestà sui territori dello Stato Pontificio, costui fu un uomo di prima grandezza per il suo tempo, tanto in campo ecclesiale quanto in quello politico e culturale degli ultimi decenni dell’Ottocento. Proclamò la costituzione creando due camere legislative ed un governo dello Stato con a capo un membro laico. Fu costretto a fuggire da Roma a seguito della rivoluzione popolare e dei moti risorgimentali indotti dai carbonari, che proclamarono la Repubblica romana retta dal triumvirato di Mazzini Armellini e Saffi appoggiati dalle truppe guidate da Giuseppe Garibaldi. Tuttavia, durante il suo pontificato, fu mecenate delle lettere e delle arti, autore del Sillabo, un trattato nel quale si denunciavano i pericoli del modernismo e le insidie del liberalismo rivoluzionario assurto a contraltare del materialismo socialista. Indisse, dopo oltre quattro secoli da quello tenutosi a Trento, il Concilio Vaticano I riportando nella chiesa un aggiornamento sia pastorale che dogmatico proclamando l’infallibilità del Papa in materia di fede ed il dogma dell’Assunzione in cielo di Maria madre di Gesù. Eventi che resero il pontificato di Mastai Ferretti straordinario ancorché la storia del Risorgimento, lungi dall’essere veritiera, lo abbia confinato tra quegli ottusi difensori dell’ancien regime. Numerosi gli eventi che si inanellarono nel tempo: la caduta della Repubblica Romana, la presa di Porta Pia, con l’irruzione dei Bersaglieri nella futura capitale, l’annessione dello Stato pontificio da parte del re sabaudo, al neonato stato unitario, la legge, promulgata in maniera unilaterale dal Regno d’Italia sulle guarentigie ecclesiastiche con i beni della Chiesa che costituirono le pietre della muta incomunicabilità tra i due enti. Fu in questo contesto che la Santa Sede decise di ritenersi usurpata ed il Papa un prigioniero. Fu così che nacque il “Non Expedit” e l’idea che i fedeli dovessero allontanarsi dalla vita politica del tempo. Che danno ne abbia ricevuto la Nazione privata dell’apporto di una parte qualificata della società italiana a causa di una bolla del genere, non è dato sapere. Viceversa risultò decisivo il ritorno dei cattolici alla politica con la fondazione del Partito popolare italiano agli albori del Fascismo e successivamente della Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi. Sembrano pagine ingiallite e dimenticate di una storia ormai anacronistica, descrittive di un sentimento politico ormai affidato all’oblio. Ma così non è affatto. La politica italiana ha sempre trovato nel magistero sociale della chiesa, nelle encicliche dei grandi Pontefici sulle tematiche di attualità, a cominciare dalla enciclica Rerum Novarum di Leone XIII dedicata a tutto il movimento politico e sindacale, un punto di riferimento ed una linea chiara e coerente di indirizzo programmatico. Così fino agli anni novanta sel secolo scorso ed alla fine della Dc e con essa della dottrina sociale della chiesa cattolica, hanno lasciato un vuoto finora mai colmato. Non tanto perché il sentimento della fede è ancora radicato e diffuso nel sentimento popolare italiano e con esso i precetti morali e materiali che orientano l’opinione pubblica, quanto perché mancando quella forza etica di indirizzo, sono venute meno anche le strutture fondamentali della società italiana costruite su quei valori, la famiglia in primis. Se oggi parole come solidarismo e equità hanno un senso attuale lo si deve a quella fucina di uomini che, formati nell’Azione Cattolica, nella FUCI ( gli universitari Cattolici ), nelle ACLI scelsero in seguito l’impegno politico. Il processo di secolarizzazione della chiesa stessa, il relativismo etico che investe il corpo sociale, sono elementi non trascurabili, presupposti di una deriva politica e morale che sembra non conoscere limiti. La confusione culturale, l’eliminazione delle differenza di valori e modelli socio economico di riferimento, l’opportunismo senza vincoli, rappresentano il mare magno nel quale si dibatte l’odierno agire politico. Quanto siano stati importanti i dettami della dottrina sociale della chiesa per un armonico sviluppo socio economico in Italia, è lungi dall’essere completamente valutato e ricordato. L’argine a due sponde perseguito dalla Chiesa, per contenere gli eccessi del capitalismo e del consumismo da un lato e le aberrazioni del marxismo dall’altro, lo si deve proprio alla cultura cattolica ed alla miriade di uomini e donne preparate secondo quei dettami che sono scesi in politica. Cosa resti di tanto non lo si intravede perché oggi la chiesa stessa è in mani incerte e priva di una visione ecumenica del mondo, piegata unilateralmente verso il mondo dei poveri. Un Papa gesuita, appiattito sulla teoria della liberazione di stampo sud americano e terzo mondista, non ha il portato dei grandi Pontefici di un tempo e non concede spazio alla vecchia dottrina. Alle affermazioni caritatevoli non segue alcunché, del tutto assente lo scopo di formare, come una volta, una classe dirigente catechizzata e quindi preparata ed avveduta. Insomma c’è molto sconforto in giro e molta improvvisazione, troppi orecchianti del tutto privi del
Portato culturale dei Cattolici. Non siamo molto lontani dal rimpiangere finanche Pio IX e la sua critica al modernismo senza principii.

*già parlamentare