INCENDI E CACCIA, LA PAROLA AI GRUPPI RICERCA ECOLOGICA

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locandina incendi page RID INCENDI E CACCIA, LA PAROLA AI GRUPPI RICERCA ECOLOGICAAnche quest’anno la stagione rovente sta mettendo sotto scacco l’Italia nonostante la lotta agli incendi boschivi veda in prima linea gli uomini e le donne del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, dei Carabinieri Forestali, di tanti volontari di Protezione Civile.

«Ma purtroppo – secondo i Gruppi Ricerca Ecologica, storica associazione ambientalista nata nel 1978 – il loro intervento non basterà, perché quando scoppia un incendio è già tardi: l’incendio è uno degli eventi più devastanti che l’ecosistema bosco possa subire. Il passaggio del fuoco altera gravemente e per lungo tempo gli equilibri tra i vari esseri viventi, ciò causerà la morte di molte specie e consentirà l’ingresso a nuovi animali e vegetali più adatti alle condizioni ambientali che si sono create dopo l’incendio. Quindi i superstiti scappano dalla zona incendiata cercando rifugio nei boschi limitrofi provocando però il sovraffollamento di questi ultimi. Il fuoco cambia anche la composizione chimica del suolo rendendolo meno acido e ostacolando, ad esempio, la vita dei funghi. Ovviamente gli effetti sul bosco in seguito al passaggio del fuoco cambiano a seconda del tipo di incendio avvenuto. Ma in ogni caso l’incendio purtroppo crea PERDITA»!

La triste verità è che il 98% degli incendi boschivi è ad opera dell’uomo, sia volontaria (dolosa) che accidentale (colposa), mentre solo il 2% è di origine naturale (ad esempio i fulmini), ma seppure il legislatore abbia preso provvedimenti duri contro i piromani, la prevenzione resta l’unica per misura da adottare per arginare il fenomeno.

In alcuni casi i boschi vengono completamente distrutti dagli incendi, in altri invece sono parzialmente danneggiati ed in grado di rinnovarsi spontaneamente senza alcun intervento di ricostruzione e di ripristino delle condizioni ambientali. Ma in ogni caso i tempi necessari per poter rivedere il bosco “di prima” sono decisamente molto lunghi: da 1 a 20 anni, con costi ambientali ed economici molto elevati. Con un recupero che dovrà avvenire gradualmente e lentamente, ricreando tutti gli ecosistemi presenti prima del passaggio del fuoco.

«Occorre immediatamente elaborare un nuovo paradigma – ha affermato il Dirigente nazionale Vincenzo Stabile, già Comandante regionale del CFS in Campania – perché la sola lotta attiva purtroppo è perdente. La tutela delle nostre foreste e dei nostri boschi dalla terribile alea degli incendi non può essere ridotta alla puntuale applicazione di un Testo Unico o alla rigorosa repressione dei reati perpetrati ai danni dei boschi. È qualcosa di più vasto e profondo. I Gruppi di Ricerca Ecologica sin dal loro esordio hanno guardato il rapporto con la Natura a partire dal Sacro ed il conseguente atteggiamento dell’uomo rispetto ad essa ed il rapporto di compatibilità delle sue attività con l’ambiente naturale».

«La perdita di un patrimonio di conoscenza e di interventi agro – silvo – pastorali, l’abbandono dei suoli spesso conseguenza dell’abbandono delle montagne e delle campagne, la mancanza assoluta di qualunque forma di prevenzione, studio dei boschi, dei tagli, – continua Enzo Stabile –   sono tra le cause principali della degradazione di boschi e foreste. A ciò bisogna aggiungere il passaggio alle Regioni delle competenze in materia forestale e la successiva soppressione del Corpo Forestale dello Stato che hanno compromesso mortalmente l’indispensabile prevenzione tecnica – amministrativa grazie alla quale era garantita la stabilità delle foreste e quindi dei bacini montani, sia contro il fuoco che contro il rischio idrogeologico. Per non parlare poi dell’attività di Polizia giudiziaria, indispensabile per contrastare il fenomeno degli incendi boschivi».

È per questo che i Gruppi Ricerca Ecologica con il supporto del Comitato scientifico dell’associazione hanno elaborato lo studio “Incendi boschivi: un nuovo paradigma!” in cui, oltre ad analizzare il fenomeno, descrivono un percorso obbligato per ricostruire un equilibrio tra uomo e Natura che preservi le popolazioni boschive dagli incendi. La prima tappa di questo percorso è la pianificazione di un paesaggio resistente e resiliente: la stabilità, dal punto di vista ecologico, può essere definita come la capacità di un ecosistema di rimanere nelle condizioni esistenti (resistenza) o di ritornare a queste dopo un disturbo (resilienza).

Lo svolgimento di attività silvicolturali preventive, che però non prevedano la totale rimozione della necromassa ma che anzi la gestiscano, è l’azione preventiva più efficace, in quanto, congiuntamente al recupero dei suoli un tempo agricoli ed adesso abbandonati, priverebbe il fuoco dell’elemento essenziale, ovvero il combustibile.

Non tutte le zone sono uguali, e perciò per ridurre il numero e l’entità dei danni causati dagli incendi boschivi è necessario conoscere l’effettivo pericolo di incendio boschivo di ciascuna area. Ciò consentirebbe alla popolazione e alle parti interessate di essere informate del pericolo di incendio boschivo e di adottare misure di prevenzione adeguate, magari già stabilite in un apposito codice di comportamento.

La sensibilizzazione della popolazione, congiuntamente a rilevamenti automatizzati, alla mappatura del territorio e alla sorveglianza aerea, consentirebbero un celere spegnimento.

Ultima tappa è però il recupero del ruolo pubblico nell’antincendio, al momento di fatti discutibilmente privatizzato e parcellizzato tra le varie amministrazioni regionali.

«Come ampiamente raccomandato dall’ISPRA nonché già previsto dalla Legge 353/2000 –  sostiene Giorgio Corrado, membro del Comitato scientifico dei Gruppi Ricerca Ecologica, già Dirigente superiore del CFS  nonché docente di “Diritto forestale e ambientale” all’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo – in questa fase le Amministrazioni dovrebbero preservare l’intero comprensorio da quelle attività che genererebbero ulteriore motivo di aggravamento delle condizioni demografiche delle popolazioni interessate di fauna selvatica stanziale o nidificante, come il prelievo venatorio».

Già dal 2017 l’ISPRA ha infatti accertato lo stato critico per gli ecosistemi e la fauna selvatica determinato dal “perdurare di condizioni climatiche estreme” che “comporta una condizione di rischio per la conservazione della fauna in ampi settori del territorio nazionale e rischia di avere, nel breve e nel medio periodo, effetti negativi sulla dinamica di popolazione di molte specie”. In particolare, ISPRA ha suggerito alle Regioni di adottare misure urgenti “seguendo il principio di precauzione, in occasione della prossima apertura della stagione venatoria” specificamente consistenti in “provvedimenti cautelativi atti a evitare che popolazioni in condizioni di particolare vulnerabilità possano subire danni, in particolare nei territori interessati da incendi e condizioni climatiche estreme nel corso dall’attuale stagione estiva”.

L’AMBIENTALISMO DEI VALORI

Il mantenimento, nonostante la critica situazione ecologica e faunistica accertata da ISPRA, delle prescrizioni di tanti Calendari Venatori regionali (ad esempio, Sicilia, Calabria, Sardegna) configurerebbero proprio i profili di forte criticità e di danno per la fauna selvatica quali: l’addestramento ed allenamento dei cani, la caccia da appostamento, la caccia agli uccelli acquatici, la caccia alle specie stanziali e la caccia nelle aree interessate da incendi, che rischierebbero di determinare diffuse, gravi e irreparabili

compromissioni della conservazione delle specie selvatiche stanziali e migratorie e degli equilibri ambientali, in aperto violazione degli artt. 1, 7 e 18 L. 157/1992, nonché della normativa comunitaria vigente (Direttiva 92/43/CEE “Habitat” e Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”).

«Facciamo pertanto appello al Ministro della Transizione Ecologica-  concludono i GRE – affinché intervenga presso le amministrazioni regionali in caso di difetto o inerzia in ordine al doveroso intervento di cui sopra, anche coi poteri sostitutivi e contingibili previsti ex Legge n. 59/1987, onde impedire l’ulteriore compromissione della fauna selvatica e del patrimonio naturalistico e di biodiversità».