“SANTA MARADONA”: UN “(FALSO) ANNOIATO” RIFERIMENTO A “TRAINSPOTTING”

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di Mariantonietta Losanno 

Torino. Andrea (Stefano Accorsi) e Bart (Libero De Rienzo) sono due amici e coinquilini quasi trentenni che trascorrono una vita piatta, quasi nel nulla. Senza soldi e senza grandi progetti e prospettive future, condividono le loro incertezze: sono (fin troppo) poco produttivi e poco concreti e chiedono ancora a loro stessi cosa fare della propria esistenza. Una condizione, in realtà, che tanti altri ragazzi della loro stessa età conoscono. Una storia d’amore improvvisa e passionale, però, sarà d’aiuto ad entrambi a capire come “inventarsi” una strada da seguire.

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Allora, “Santa Maradona” si può definire un film romantico? Non del tutto. Un film sul calcio, come potrebbe suggerire il titolo? Neanche. O, ancora, una commedia, come potrebbero suggerire le sferzanti battute di Bart? Certo, ma non solo. L’esordio alla regia di Marco Ponti – all’epoca trentaquattrenne – è, più di tutto, un’opera generazionale, che parla di speranze, di paure, di lavori precari e non soddisfacenti, di valori morali distrutti. Non si riduce tutto alla banale quotidianità che i due amici vivono con stanchezza e noia: è proprio la commistione di vari generi ed elementi (commedia, dramma, calcio, musica) a rendere epico l’ordinario. È l’atmosfera ad elevare il prodotto cinematografico e a renderlo attuale. Così come non ci si può riferire a “Trainspotting” – di cui proprio quest’anno si festeggia il venticinquesimo anniversario – parlando (solo) di cinema “alterato” per la presenza costante di sostanze stupefacenti, così, allo stesso modo, ridurre quella “pigrizia” di “Santa Maradona” ad una mancanza di ambizioni sarebbe svilente e semplicistico. Quella pigrizia va analizzata dal punto di vista sociologico. Perché, oltretutto, fermarsi ad un prima impressione porterebbe anche confondere i dubbi esistenziali di Andrea con quelli di Carlo ne “L’ultimo bacio“ (entrambi i film sono del 2001): “Santa Maradona” non può e non deve risentire del successo di Muccino. Nonostante i protagonisti delle due pellicole sembrano – ad una prima visione superficiale – condividere la stessa visione del mondo e la stessa frustrazione, gli intenti sono differenti: Andrea e Bart ad un certo punto si rendono conto di non poter più scappare dalla verità, nonostante sia dolorosa; i quattro amici de “L’ultimo bacio” persistono in una condizione di immaturità e di insoddisfazione esistenziale. “Mi interessava rappresentare la gente “normale”, persone semplici che a tutti è capitato di incontrare. Al contrario di quelli di Muccino, i miei personaggi non sono in crisi e non fanno parte dell’alta borghesia, semplicemente non si sono ancora realizzati”, ha detto Marco Ponti in un’intervista. 

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Con una giusta padronanza di mezzi, un buon ritmo, una buona energia, una serie di citazioni ben studiate (tra cui quella a “Lolita”), è possibile realizzare un’opera capace di distanziarsi dall’“apatia” e di mandare un messaggio più incisivo; Andrea e Bart non sono “passivi” come sembrano, reagiscono, sono pronti persino a prendere decisioni drastiche. Sorridono – e ridono – anche sui problemi più importanti; i loro dialoghi minimalisti e surreali (persino un po’ tarantiniani, data la passione del regista) sono espressione di una contraddizione, ma anche di una difficoltà di riuscire ad “inquadrarsi” in una realtà. “Santa Maradona” (il cui titolo è preso da una canzone del gruppo francese Mano Negra, il cui leader storico era Manu Chao), non è un film facile da comprendere. Se è possibile cogliere immediatamente il riferimento a “Trainspotting” (e a quelle corse di Mark e dei suoi amici), non è altrettanto semplice comprendere quella linea sottile tra l’ottimismo e il nichilismo su cui il film si muove. “Su tutto ciò che ora parla di noi/rabbia, illusioni e speranze che so” […] “e rimarrà forse il vuoto di noi/a disarmare i rimpianti che so/per ricordarci in un attimo che/passerà”, cantano i Subsonica nei titoli di coda, come a voler rendere più chiaro il messaggio del film. 

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Impossibile non rendere omaggio ad un personaggio come Bart (una delle sue battute memorabili è “la sregolatezza pura, che non ha a che fare col genio, mi esalta”), e ad un attore come Libero De Rienzo, che grazie a questo ruolo vinse il David di Donatello come migliore attore non protagonista. Una persona (più che un personaggio) “irregolare”, capace di passare dal Giancarlo Siani di “Fortapàsc” al Bartolomeo di “Smetto quando voglio”. Il suo Bart – una sorta di Lebowski “nostrano” – l’ha consacrato e lo rende ancora oggi indimenticabile.