– di Nicolò Antonio Cuscunà –
Tutto fa spettacolo, o meglio tutti gli argomenti si prestano allo spettacolo. Argomenti sviscerati solo per fare audience ai talk show, utili alla vendita di pubblicità. La pandemia con pletore d’esperti virologi, le morti sul lavoro con attenti sindacalisti, le notti sballate della gioventù scarcerata dal lock down, gli scomparsi nel nulla, omicidi e efferati assassinii con criminologi dalla bella immagine, diventano spettacolo d’intrattenimento per masse. Sedi inappropriate di discussioni improprie, utili a cavalcare le emotività, da sostituire appena emerge altra e più interessante notizia ad effetto. Gli assembramenti di giovani sono storici, Paese che vai assembramento che trovi. Dalle notti in bianco dei giovani madrileni ritornati liberi alla fine del franchismo, ai luoghi di ritrovo degli anni ottanta, con tanto fumo e meno alcol. Il delirio adolescenziale, meno violento e non criminalizzato è sempre esistito, a Parigi come a Vienna, a Roma come a Berlino, camuffato da movimenti culturali o neutralizzato dall’arte. Da ieri all’oggi, la differenza non è piccola, al contrario, è abissale, è solo questione di puntualizzare e affermare l’endemismo del problema. Sicuramente cambiano gli elementi alla base dell’insorgenza del problema, dalla cultura, arte e ricerca filosofico-esistenzialista alla moda e costume dell’effimero d’immagine del nulla. Differenze epocali. Primo e grossolano errore è fare di tutte le erbe un sol fascio, i giovani non sono tutti uguali. Piccole minoranze, anche se rumorose, violente, avvinazzate e dedite allo sballo, non sono la “gioventù”. Urlare alla luna rispetto al problema, chiedere reprimende, videosorveglianza, illuminazione a giorno dei luoghi della movida non serve. Ovvero, al massimo servirà a tranquillizzare qualche imbianchino di sepolcri, ma non risolve il problema. I giovani vanno difesi dagli adulti. Quest’argomento emerge nelle famiglie e nella scuola. Difendere i giovani dai genitori e dalla società degli adulti. Non è follia, è amara constatazione. I giovani abitudinari o anche occasionali della movida, “tentano di superare le loro solitudini, aggregandosi per rompere l’accerchiamento di una società avara, disattenta e egoista”. Cercano l’aggregazione per difendersi, assemblati in grandi masse all’interno delle quali sono e restano isolati e soli con lo sballo. Maggiorenni o minorenni, femmine o uomini, senza distinzione di censo, albergano in compagnia di adulti, interagiscono in abitazioni con genitori e nonni. Dai luoghi fisici in cui stazionano il giorno, ne escono la sera per farvi ritorno il mattino. Orbene, ci sarà qualcuno ad accorgersi interrogandosi del tempo trascorso e come impiegato dai loro giovani congiunti? Ripristinare l’educazione. La mia generazione tirava tardi per strada per altri e più nobili motivi, in quell’epoca l’impegno politico faceva la differenza tra i giovani. La partecipazione era tra l’essere e non, tra il partecipare e fare zavorra. Notti bianche in interminabili discussioni ideologiche e in pericolose strade da percorrere per affiggere i manifesti del tuo impegno e credo. In conto si metteva la nottata persa al sonno e allo studio, il pericolo dell’incontri inopportuni con le forze di polizia o con gli avversari partitici. Genitori consapevoli o non, si tenevano da conto i loro consigli, divieti e punizioni. Genitori sempre vigili nell’accoglierti al rientro, pronti a punirti nel non rispetto delle consegne. I miei erano informati e tolleravano con regole, in caso di non rispetto, le punizioni calavano a prescindere se avevi raggiunto la maggiore età all’anagrafe. Quelle erano famiglie, quelli erano genitori degni della “patria podestà”. I giovani che rientrano a casa sballati, fatti di alcol o di droghe, sono il frutto del corto circuito in atto nella società e nel suo Nucleo fondante: “la famiglia”. Ripristinare l’educazione che rispetti se stesi in relazione con il prossimo. Per chiedere ciò si dovrebbe avere consapevolezza di regole, diritti e doveri. Il bello genera il bello e viceversa. Certe degenerazioni hanno radici profonde e provengono da lontano. Gli sballi non sono esuberanze giovanili, sono devianze causate da assenze d’indirizzo educativo. I figli dello sballo sono innocenti vittime di “genitori” colpevoli e assenti dal ruolo che la natura e la società ha loro affidato. Non v’è differenza di censo, le barriere nello sballo non esistono o sono poco percepite e non fanno la differenza. Il mattino, ad accogliere i figli sballati ci sono operai e professionisti, famiglie allargate o ristrette, arcobaleno o monocolore, tutti accomunati dallo stesso problema: “incapacità genitoriale”. Allora “illuminate i luoghi della movida, videosorvegliate aumentando la presenza delle forze dell’ordine, le ordinanze e divieti”, lasciando inalterati e non risolti i motivi per cui i “giovani si nascondono nello sballo”. Provate a rilevare ipotesi di cambiamento, poi avremo modo di riparlarne.