di Vincenzo D’Anna*
Chiunque abbia veramente a cuore le sorti dell’Italia, al netto di strumentali posizioni polemiche, non può non augurarsi che il Parlamento riconsideri la scellerata scelta di bocciare la proposta di una commissione parlamentare d’inchiesta per il caso Palamara, l’intricata vicenda che ha messo in luce l’intreccio sotterraneo tra certa magistratura ed alcuni settori del Pd. Una vicenda non ancora del tutto chiarita, che coinvolge finanche il Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei togati. L’ultima clamorosa “fuga di notizie” parla di una non meglio definita loggia segreta che sarebbe in grado di stabilire chi deve essere promosso ai vertici di determinante Procure della Repubblica e chi no, non sulla base dei titoli e dei meriti ma dell’appartenenza politica. Altro che traffico di influenza, inventato per colpire i politici che dovessero azzardarsi a chiedere e caldeggiare questioni da evadere per conto della pubblica amministrazione!! Se questo fosse stato un Paese normale e non fosse divenuto il ricettacolo dell’odio sociale e della menzogna storica e politica propalata dal M5S attraverso i social net work, deviando verso forme di populismo e di qualunquismo, il Parlamento avrebbe discusso di ben altro in materia di giustizia, che del…traffico di influenza. In soldoni: una classe politica codina e pavida al tempo stesso, ha introdotto un altro reato impalpabile e vago nel codice penale. Un reato che i magistrati usano contro i politici medesimi. Andato ad affiancarsi a quello, non ancora tipizzato e definito, del concorso esterno in associazione mafiosa, così da “fregare” il politico di turno che magari dà fastidio a taluni padroni del vapore. Tuttavia la verità è un coltello tutta lama e non è detto che non ferisca anche coloro che lo impugnano per utilizzarlo contro gli altri rappresentanti del sistema istituzionale. Ecco quindi che scoppia il caso delle intercettazioni all’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati che svela la rete di connivenze politiche anche delle toghe nostrane, non immuni all’utilizzo del tanto deprecato Manuale Cencelli per spartirsi i posti di potere. Ma non basta! Nossignore. Lo scandalo desta un clamore circoscritto per poi passare sotto silenzio grazie alla complice abulia di quei quotidiani in stretto raccordo con le procure facitori di scandali a senso unico che hanno eretto patiboli e gogne mediatiche per lunghi anni. Il caso riemerge, come un fiume carsico, allorquando Palamara decide di vuotare il sacco e non fare il capro espiatorio. Con l’aiuto di un giornalista di centrodestra, l’ex magistrato scrive un libro che sbanca in libreria, in cui rivela, in gran parte, la liturgia in uso per pilotare le nomine apicali più delicate. Non mancano, nel testo, altri ragguagli sulla mentalità e sulle inclinazioni verso il potere da arraffare di molti magistrati, che in pubblico si erano sempre mostrati integerrimi. Tuttavia, in questi casi più si scava più emergono altre circostanze inquietanti. Un avvocato siciliano, Pietro Amara, soggetto la cui attendibilità è tutta da verificare, a vario titolo implicato nel caso Palamara, viene sentito nel Tribunale di Milano da uno zelante e sveglio pubblico ministero al quale rivela che in Piazza Ungheria, a Roma, si riunisce una non meglio nota cupola fatta da magistrati e, c’è da credergli, avvocati. Questa misteriosa combriccola brigherebbe per orientare indagini, aprirne delle nuove, far circolare veline su aspetti delle indagini medesime a sfondo scandalistico. Emergerebbe, sempre dalle dichiarazioni di Amara, che anche l’ex premier Conte sia in qualche modo al corrente, se non partecipe, di questa combriccola che opera fuori da ogni contesto di legalità. Il pubblico ministero, che conferisce credibilità al teste escusso, si rivolge ai superiori ma non trova molta collaborazione: il classico muro di gomma, insomma. Eppure in quel Tribunale si sono fatti in quattro contro i politici instaurando il famoso rito ambrosiano, quello del “pool mani pulite”. Il giovane procuratore non disarma e consegna il plico a Davigo presso il CSM, il quale assicura ogni interessamento. Passa un anno e nessuno fiata fino a quando il plico finisce alle redazioni de La Repubblica e del Fatto Quotidiano che, riscoprendo all’improvviso la deontologia, non pubblicano carte ancora soggette al segreto istruttorio. Insomma gente che ha pubblicato di tutto in nome del cosiddetto diritto di cronaca ora tace. Le tigri diventano vegetariane!! Ma il plico giunge anche ad un magistrato palermitano molto noto, Nino De Matteo, che lo bolla come contenente calunnie, anche se poi alla fine ne dà notizia. Insomma: atti di indagine riservati girano per tante mani non sappiamo se ancora integri o manipolati. Ma una commissione d’inchiesta parlamentare sulla magistratura ungherese (Palamara) proprio no?
*già parlamentare