L’ERRORE E L’ERRANTE

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di Vincenzo D’Anna*

25 Aprile 1945: festa della liberazione dal nazifascismo, epilogo della lotta partigiana e della liberazione della nazione da parte degli italiani. Questa la narrazione, un tantino romanzata, di quei tempi e di quel pezzo di storia patria, scritta ovviamente dai vincitori e dai governanti che vennero  dopo il fatidico 8 Settembre e l’armistizio, unilaterale, che gli italiani avevano stipulato con le forze Alleate Anglo Americane che già  risalivano la Penisola. Celebrazioni, quelle del 25 Aprile, per anni egemonizzate dalla sinistra, in ogni sua espressione partitica e declinazione politica, trasformate in monologhi inneggianti la lotta partigiana e segnatamente quella delle formazioni comuniste combattenti. Risuonano ancora, nelle piazze ove si commemorava la ricorrenza, le poderose bordate di fischi destinati ai rappresentanti del governo e delle istituzioni di diverso colore politico rispetto ai militanti di falce e martello. La faziosità della rievocazione cancellava del tutto l’apporto che pure gli Alleati diedero nel cacciare i nazisti dal patrio suolo, in generale ignorando ogni altro contributo nella guerra di liberazione non vidimato dalla sinistra. Insomma, più che una celebrazione nazionale le adunate diventavano un piccolo festival dell’Unità, il rosso delle bandiere non concedeva spazio alcuno ai vessilli degli altri partiti. Chiariamoci bene: non intendo delegittimare la ricorrenza, tantomeno irridere alla legittimità ed all’importanza della medesima, per essere insignito del termine di “fascista” oppure di reazionario. Intendo, invece, liberare la storia dalle incrostazioni ideologiche e dalla faziosità con le quali il 25 Aprile è stato celebrato per oltre mezzo secolo. Era il tempo dei partiti politici di massa, della militanza e della faziosità con la quale si intendeva e si viveva  l’appartenenza politica. Furono atteggiamenti di rivincita, quasi naturali, che taluni partiti esclusi dal governo, per pregiudizio ideologico e per le conseguenze dell’adesione ai blocchi delle alleanze internazionali, si prendessero la rivincita in quella circostanza. I militanti social comunisti rimarcavano il loro contributo determinante nella lotta partigiana rinfacciando ai partiti di governo di essersi piegati agli interessi del patto atlantico ed ai veti imposti dagli Americani. A sinistra reclamavano la partecipazione al processo di unità  nazionale ed alla presenza nei governi di solidarietà nazionale che, nell’immediato dopoguerra, avevano governato l’Italia e pacificato gli italiani, reduci da una guerra civile. A destra si boicottava e si disconosceva l’evento perché ritenuto oltraggioso e menzognero per gli  italiani che non avevano tradito lo schieramento dell’alleanza iniziale coi tedeschi, ed in parte avevano combattuto nella Repubblica di Salò. Insomma: una ricorrenza, quella della Liberazione, che non aveva mai potuto riunire tutti gli italiani nelle celebrazioni. Tutto questo si è trascinato per decenni, alimentando narrazioni diverse finanche da parte degli storici. Quella degli intellettuali organici agli schieramenti politici è stata un limite ed al tempo stesso la causa della mancata diffusione di una verità completa sugli eventi della lotta partigiana. Gli uni sconfessavano gli altri, facendo leva su episodi e circostanze alternative, citavano gli episodi più efferati commessi d’ala parte avversa, nel turbinio della agonia di un regime che cadeva e di una lotta che sfociò in guerra civile. Per paradosso, fu la narrazione di un giornalista, che era stato per anni la penna di punta della sinistra italiana, Gianpaolo Pansa, a far luce su fatti ed azioni efferate commessi dagli stessi comunisti. Già, la storia raccontata della lotta partigiana, era monca della narrazione delle gesta dei combattenti di diverso credo ideologico e quelli neutrali formati semplicemente da soldati italiani che  avevano risposto all’appello del generale Badoglio e del Re perché la guerra continuasse accanto agli Alleati. Ignorate per decenni le gesta delle brigate bianche democristiane, della Repubblica dell’Ossola, quelle laiche socialiste e repubblicane di Giustizia e Libertà e quelle liberali di Edgardo Sogno medaglia d’oro al valor militare. Fu proprio la narrazione di Pansa sugli eccidi di Porzus a svelare che le brigate comuniste avevano passato per le armi anche partigiani di altro colore politico. Insomma cadde il velo su una parte della verità, ovvero che per mostrarsi primi ed unici taluni brigate Comuniste non su fecero scrupolo nell’accoppare gli stessi compagni di lotta di altro credo politico. Quella verità diede la stura all’emergere di tanti altri episodi di eguale segno e malvagità. Una nuova luce irradio’  la verità storica eliminando la faziosità politica. Ora che i partiti e quel tipo di faziosità sono scomparsi, si potrebbe celebrare in un altro spirito la ricorrenza della riconquistata libertà. In fondo sarebbe ora di superare la partigianeria che non vuole perseguire l’errore ma l’errante.

*già parlamentare