Di Vincenzo D’Anna*
E’ andata a finire come si temeva: Matteo Salvini rinviato a giudizio a Palermo, per sequestro di persona ed abuso in atti del proprio ufficio. La vicenda è quella relativa al mancato permesso di sbarco per i migranti ospitati sulla nave Open Arms, intestata ad un’associazione umanitaria non governativa spagnola. All’imbarcazione era stato offerto attracco a Malta ed in Spagna, ma il comandante aveva deciso di puntare sul suolo italiano, a Lampedusa. Dopo il ripetuto diniego dichiarato dal Ministero degli interni, all’epoca dei fatti guidato dal leader della Lega, era intervenuta la Procura di Agrigento. Dopo un’ispezione a bordo sulle condizioni igienico sanitarie, i magistrati concessero il permesso di sbarco, onde consentire l’assistenza ai migranti in condizioni precarie di salute. Imponente il numero di associazioni costituitesi parte civile: oltre una dozzina. Quasi tutte di ispirazione politicamente contraria a Salvini: dall’Arci a Legambiente, da Cittadinanza attiva ai Giuristi Democratici fino ad associazioni varie pro migranti. Il loro numero, la varietà ed il “colore”, la dice lunga sulla vera essenza politica di questo processo. In verità tale era parso fin dalle prime mosse giudiziarie di una procura, quella di Palermo, ben nota non solo per la lotta alla mafia ma anche per avere ostacolato i magistrati cosiddetti scomodi e non allineati al verbo politico imperante in quella stessa sede giudiziaria, fin dai tempi di in cui si tacciava Giovani Falcone di essere colluso col Governo di turno e si era isolato Borsellino perché ritenuto politicamente di destra. Attacchi pubblici e frontali capitanati da Leoluca Orlando, oggi sindaco di Palermo.
Una procura, quella del capoluogo siciliano, che ha fatto ampio sfoggio di partigianeria politica, dal processo Giulio Andreotti a quello a Calogero Mannino fino ai flop per incastrare Silvio Berlusconi dopo esserci riusciti con Marcello Dell’Utri utilizzando il solito ricorso al comodo quanto inesistente reato di concorso esterno. Un altro colpo era riuscito con la condanna di Totò Cuffaro condannato per aver rivelato ad un collega medico che risultava indagato. Insomma lo stesso reato sul quale nessuno indaga per la medesima rivelazione a Luca Palamara che era sorvegliato, tanto per mettere la sordina all’intreccio di potere tra i vertici di alcune autorevoli procure, certa stampa e la politica targata Pd. Una procura, quella palermitana, che per anni si è fatta propaganda sull’esistenza di un patto tra politica e mafia, dando credito ad un falsario come Massimo Ciancimino che si era fabbricato un falso documento e si era inventate false delazioni per far condannare il generale dei carabinieri (capo dei ROS che catturarono Reina e prefetto anti mafia) Mario Mori. Una storia che ha portato alla ribalta molti pubblici ministeri, che avevano indossato i panni di Torquemada, degli angeli vendicatori, giudici etici senza controllo alcuno, senza rispondere a nessuno di imperizia, negligenza ed abusi di potere. Mori, coni suoi successori al ROS e lo stesso “Capitano Ultimo”, l’uomo che catturò materialmente Riina, furono assolti dopo un lungo calvario giudiziario. Nessuno ha alzato un dito o fatta una piega contro i pubblici ministeri di quei processi, De Matteo, Scarpinato ed Antonio Ingroia che fondò addirittura un partito politico di sinistra, miseramente naufragato. Non è una mera coincidenza che oggi, all’udienza innanzi al Gup, abbia presenziato, per l’accusa, insieme ai due pubblici ministeri, il procuratore Capo Lo Voi, che si era già espresso pubblicamente per il rinvio a giudizio di Salvini. Il copione si ripete. Nuovi e vecchi protagonisti della pubblica accusa imbastiranno un processo ad un uomo politico noto e che porterà loro notorietà, uno dei due requisiti, con l’anzianità, a spingere le carriere dei magistrati italiani. Il circo mediatico giudiziario con taluni giornali al servizio dei pubblici ministeri, nonché dei partiti politici avversi alla Lega, partirà a metà settembre e si trascinerà il tempo necessario per mettere alla gogna il leader del Carroccio per il tempo necessario a farne un bieco carnefice di poveri migranti. La politica che ancora una volta viene trascinata sul banco degli imputati da un potere reso assoluto ed irresponsabile, continuerà a tacere per paura che quello stesso potere possa essere utilizzato anche nei suoi confronti. La mediocrità culturale di questa classe politica, la malvagità ed il rancore elevati ad emblema della libertà di stampa, il potere incontestabile della giurisdizione, hanno trasformato la culla del diritto nel vaso di Pandora. Il mitologico contenitore di tutti i mali del mondo e, nel caso della italica giustizia, del peggiore dei mali: quello di non appartenere alla combriccola dei moralisti e dei togati. Quelli che con il giudice sereno ed obiettivo hanno poco o nulla da spartire.
*già parlamentare