VITE PARALLELE

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di Vincenzo D’Anna*

Aver ridotto l’insegnamento della storia a solo due ore settimanali costituisce uno dei segni tangibili dello scadimento della funzione culturale della scuola italiana. Allorquando tale istituzione perde la funzione di istruire ed educare, sostituendola col pedagogismo riformatore fatto di chiacchiere e falsi riferimenti, tutta la società scade all’unisono. Parliamoci chiaro: sono state decine le riforme proposte ed approvate negli ultimi cinquant’anni per cambiare (in meglio) la scuola. Tuttavia quelle che veramente incidevano sulle comodità ed il tenore del lavoro dei docenti, sulla meritocrazia ed i saperi dei discenti, sono state tutte falcidiate. L’ultima, quella approvata dal governo Renzi, votata convintamente dal sottoscritto quando sedeva in Senato, introduceva timidi cambiamenti quali la verifica (da parte di enti terzi) delle conoscenze di prof e studenti con test adeguati, finanziamenti legati alla qualità dell’insegnamento, più poteri ai presidi nella veste tanto decantata di manager, trasferimento dei docenti secondo necessità delle cattedre. Apriti cielo, sorsero come funghi comitati di docenti trasformatisi in galoppìni elettorali contro i referendum renziani. Ebbene tutto è stato smontato dal governo Gentiloni e siamo punto e daccapo. In nome di gente come don Lorenzo Milani (che a Barbiana faceva studiare i ragazzi 8 ore al giorno!) e della sua teoria sulla parificazione dei ceti sociali, cui dare accoglienza nella scuola, è stata abbandonata la missione dell’istruzione. Di questo deterioramento dei saperi e della conoscenza, diffuso e continuo, ci accorgiamo solo quando ci interfacciamo con le istituzioni civili e politiche, con la burocrazia e la pubblica amministrazione a vario titolo interpellate. Il senso di un generale scadimento culturale della vita pubblica è largamente percepito, ma scarsamente compreso. Tutto si esaurisce nella solita generica invettiva verso la politica ed il governo, da parte di ogni cittadino che, ovviamente, si sente del tutto esonerato dall’essere in qualche misura egli stesso partecipe e causa stessa dello stato delle cose delle quali si lamenta. Diciamocela tutta: senza lo straordinario lavoro di storici e sociologi, oggi sempre più colpevolmente ignorati, poco avremmo capito della rivoluzione americana prima e di quella francese poi, della caduta degli imperi centrali e delle due guerre mondiali, fino al trapasso degli ultimi due secoli e dei relativi sconvolgimenti politici, scientifici, tecnologici e sociali. Insomma, non avremmo avuto coscienza di quello che ci fu insegnato e tramandato dai nostri padri. Tra i libri antichi di storia dopo l’Anabasi di Senofonte svetta Plutarco con le sue “Vite parallele”, una serie di biografie degli uomini potenti del suo tempo (siamo tra il I ed il II secolo d.C.) riunite in coppie di protagonisti (da Giulio Cesare a Pompeo Magno, Pericle, Temistocle, Licurgo, Pirro, Demostene, Cicerone e tanti altri) nelle quali lo storico di origini greche (con cittadinanza romana) rintraccia analogie di vita e di avventure mostrando vizi o virtù morali comuni ad entrambi. Figure che hanno segnato la storia dell’umanità e della civiltà, degli Stati e dei Regni di allora. Eppure riteniamo di poter fare a meno della “Storia” solo perché attraverso la rete siamo nelle condizioni di poter attingere velocemente, con un semplice click, tutte le notizie che ci interessano. Un grave errore. E’ vero che ciascuno può essere il filosofo di se stesso, che la filosofia insegna a capire quali siano le domande giuste da porre alla vita, per trovare le risposte adeguate. Se però avessimo realmente studiato la Storia attingendola dai libri e non da qualche improvvisato (e poco documentato) portale, avremmo appreso quali sono state le idee, le azioni e l’esperienze che ci sono state tramandate, il ragionamento critico su questi fatti, la riflessione e la comprensione della semplice notizia. Abbiamo forse imparato, dal web, qualcosa dalle precedenti epidemie, dalla cosiddetta “Spagnola”, il morbo che tra il 1918 ed il 1920 si stima abbia ucciso addirittura 100 milioni di persone? Abbiamo forse imparato qualcosa dai social network della Sars (Covid 1) che nel 2003 pur mietendo poche vittime, gettò nel panico il mondo intero? Abbiamo forse imparato che i popoli sono fratelli nelle grandi sventure, che l’Umanità si salva con la solidarietà non con la forza del danaro e delle armi posseduti del più forte? Abbiamo imparato a rispettare la natura cogliendo da essa solo quel che è necessario? L’uomo egoista è uno stupido che si crede furbo. Coloro che sopprimono la storia sono condannati a rivivere le stesse tragedie. Se Plutarco potesse aggiornare il suo libro quale altro parallelo potrebbe tracciare, se non quello della medesima umana stupidità?

*già parlamentare