di Mariantonietta Losanno
David Gale (Kevin Spacey) è un docente di filosofia dell’Università del Texas, ed è condannato a morte per l’omicidio e lo stupro di una collega, come lui attivista di un movimento per l’abolizione della pena di morte. Riguardo al delitto, però, si dichiara innocente e pochi giorni prima dell’esecuzione si mette in contatto con una giornalista di una TV locale a cui chiede di fare emergere la verità sul caso. Ad interpretare Bitsey Bloom, l’agguerrita ed ambiziosa giornalista specificamente richiesta per l’ultima intervista, conosciuta per la propria affidabilità e per il proprio codice etico, è Kate Winslet. Il carcere dove è recluso David Gale è fieramente favorevole alla pena di morte e tutto sembra confermare la sua colpevolezza.
Una serie di sfortunati eventi e di coincidenze inconfutabili: un’accusa di stupro, poi la perdita della famiglia e del lavoro e infine la pena capitale. L’unica possibilità sembra essere proprio la giornalista, che potrebbe essere l’unica a far luce sui fatti: a lei Gale racconta di non aver né ucciso né stuprato la sua amica e di essere, anzi, vittima di un complotto. Proprio per denunciare questa “macchinazione” vorrebbe raccontare come si sono svolte realmente le cose. Inizia allora un racconto a ritroso – fatto di flashback – in cui emergono sensi di colpa, violenze sessuali, dipendenze da alcool, bugie e fraintendimenti. Ascoltando i fatti, Bitsey inizia a credere che Gale sia innocente e che quindi si stia per commettere un’ingiustizia. Questa ipotesi viene avvalorata – di lì a poco – dalla scoperta di un video che sembra scagionare completamente Gale.
Alan Parker mette in scena un’indagine giornalistica e si dà da fare per stupire lo spettatore con colpi di scena e rivelazioni all’ultimo minuto: “The life of David Gale” apre il dibattito sulla pena di morte e l’ottica scelta è prettamente di logica filosofica. L’intento è quello di dimostrare l’inefficacia del sistema giudiziario e la sua fallibilità; ci si sofferma anche sul ruolo degli attivisti e su quanto sia facile superare il confine tra passione ideologica e fanatismo. “The life of David Gale” è un film politico e anche un convincente thriller, è la storia di un sacrificio estremo: sono tutti colpevoli o l’unico responsabile è solo Alan Parker? Bisogna stare attenti, però, a puntare il dito, perché ogni condanna comporta una responsabilità: non vincono i buoni come ci si potrebbe aspettare (e come si potrebbe sperare), ma sono i cattivi ad uccidere i buoni. Per screditare un’idea, fino a dove ci si può spingere? Come si può dimostrare la disumanità della pena di morte proprio mettendola in atto? Nonostante la pena di morte sia fondamentale all’interno della vicenda, “The life of David Gale” non si può ridurre ad un mero messaggio abolizionistico, così come per “Dead Man Walking”, “Fino a prova contraria” o “Giustizia Privata”. Alan Parker insiste su quanto possa essere forte la difesa di un ideale: dove risiede, allora, la verità? Quale significato c’è alla base di ogni azione? Non abbiamo risposte, ma solo domande.