di Mariantonietta Losanno
Lo sceriffo Joe Deacon (Denzel Washington) viene inviato a Los Angeles, doveva aveva prestato servizio anni prima, per raccogliere prove su un caso. Nello stesso momento, il suo vecchio dipartimento di polizia sta indagando su una serie di omicidi molto simili a quelli per cui aveva investigato anni prima: Deacon cerca, allora, in tutti i modi di partecipare alla “caccia”, aiutando Jimmy Baxter (Rami Malek), giovane detective di successo.
Disponibile dal 5 marzo sulle principali piattaforme streaming, “Fino all’ultimo indizio”, come la maggior parte del cinema thriller a cui si ispira (soprattutto Fincher e, in particolare “Seven”), gioca fornendo pochi indizi e lasciando grande spazio a zone d’ombra, dubbi, colpi di scena e ambiguità. I due protagonisti sono due figure antitetiche unite dall’ossessione di risolvere il caso; però, mentre uno vuole venirne a capo per rispetto delle vittime e delle loro famiglie, l’altro vuole farlo per risolvere questioni personali. C’è un passato “invadente” (all’interno della storia e nei riferimenti del film stesso) che gioca il suo ruolo sin dalle prime scene: si intuisce facilmente che Deacon nasconde qualcosa. Lo spettatore viene stimolato a mettere insieme tutte quelle “piccole cose” (“The Little things”, titolo originale del film) per provare ad avere un quadro chiaro della situazione. Indubbiamente, il film di John Lee Hankcock (“The Blind Side”, “Saving Mr. Banks”) non può competere con “Seven” per la scrittura dei dialoghi e per il ritmo, ma c’è un approfondimento psicologico dei personaggi che rende “Fino all’ultimo indizio” un film assolutamente noir. Paradossalmente però, il film funziona meglio se viene visto attraverso la prospettiva della redenzione personale piuttosto che di quella di un thriller in senso “classico”. E, sempre se si osserva da questo punto di vista, si può notare come in realtà la vicenda non resti in sospeso ma trovi la sua chiusura nel finale: il regista preferisce insistere sul delirio post-traumatico del personaggio che sul caso in sé.
Le performance di Denzen Washington, Rami Malek e – soprattutto – Jared Leto contribuiscono a superare alcuni “dubbi narrativi” poco credibili: è come se il film si focalizzasse troppo sulle “piccole cose” senza considerare lo sviluppo generale della vicenda. Non contano solo i dettagli. Il rimando inevitabile a “Seven”, poi, è un po’ troppo invadente, ma, dopotutto “il passato diventa il futuro che diventa il passato”. Solo Jared Leto regala un’interpretazione “nuova” del diavolo, molto differente da quella di Kevin Spacey. “Fino all’ultimo indizio” fornisce rivelazioni importanti solo a fine corsa e arriva con circa trent’anni di ritardo. Probabilmente, è troppo succube del passato da riuscire ad emergere: c’è troppa nostalgia. Forse c’è una “data di scadenza” per tutto. L’inquietudine si vede, ma non si sente.