“BEFORE I GO TO SLEEP”: UNA RIPETIZIONE INFINITA E TEDIANTE

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di Mariantonietta Losanno 

Christine (Nicole Kidman) si sveglia ogni mattina senza ricordare nulla. Il marito (Colin Firth) le dice che ha subito un trauma, prova ad aiutarla facendole vedere delle foto, ma lei non osa uscire di casa. Non ha altri contatti, se non quello con un medico, che le ha dato un piccolo registratore digitale e la spinge a riascoltare i suoi pensieri e a rivedersi giorno dopo giorno, nella speranza di riacquisire la memoria. Il tentativo funziona e i ricordi riaffiorano. 

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Giocare sul ruolo della memoria e dei suoi difetti è un espediente più volte sperimentato nel cinema. “Before I go to sleep” è un prodotto che si ripete – e si ripete – senza aggiungere nulla di nuovo. Qualcosa di già visto e già conosciuto, un po’ come rivedere ogni giorno lo stesso film, proprio come fa Christine per cercare di ritrovare i propri ricordi. Il punto è che i ricordi dello spettatore sono vividi e chiari: pellicole suoi vuoti di memoria come “Memento” – il film con cui si potrebbe fare un paragone ma più immediato, ma al tempo stesso quello più distante qualitativamente – “Se mi lasci ti cancello”, “Insomnia”, “Mulholland Drive”, “L’uomo senza sonno” sono esempi che di certo non si possono dimenticare. “Before I go to sleep” prova a fornire degli indizi interessanti per incuriosire lo spettatore, ma nonostante questo, i colpi di scena sono tutti più o meno prevedibili. Il marito sembra nascondere qualcosa, il rapporto con l’unica amica che ha Christine è alquanto ambiguo, ci sono flashback di un’aggressione di cui non si riesce a riconoscere il colpevole. Tratto dall’omonimo romanzo di S.J. Watson, “Before I go to sleep” si sforza di indagare i meandri di una memoria scomparsa cercando di svelare una verità non molto sorprendente. 

%name “BEFORE I GO TO SLEEP”: UNA RIPETIZIONE INFINITA E TEDIANTE“Before I go to sleep” si inserisce nel filone dei thriller psicologici, ma senza portare nessuna novità. Le divagazioni horror nei flashback/allucinazioni di cui è vittima la protagonista cercano di elevare la pellicola ad un livello superiore ma – forse a causa dei modelli di riferimento irraggiungibili – il risultato non convince a pieno. Una versione thriller di “50 volte il primo bacio”, un prodotto pieno di cliché sparsi qua e là (la donna indifesa e l’uomo che se ne approfitta, tanto per fare un esempio): quando si gioca con la mente c’è il rischio di rendere le cose molto – o troppo – banali. In questo caso, il regista ha preferito ignorare gli insegnamenti di “Memento” e ha voluto correre il rischio girando un film incentrato su sole tre persone. Un film del genere, poi, necessiterebbe di un adeguato approfondimento psicologico dei personaggi: sarebbe stata opportuna un’analisi accurata della patologia o la presenza di qualche informazione esaustiva sulle cause che hanno portato alla condizione di amnesia. Si avverte solo una grande fretta di arrivare al finale. Tutti i “colpi” a disposizione (cast d’eccellenza, trama dai tanti possibili sviluppi, tema dell’amnesia) non vengono sfruttati a dovere.