– di Vincenzo D’Anna* –
L’Asino di Buridano è un celebre paradosso, attribuito al filosofo Giovanni Buridano, in cui si narra di un asino che, posto tra due cumuli di fieno perfettamente identici ed alla stessa distanza, muore di fame e di stenti perché non riesce a scegliere. Chissà perché, ma la recente inchiesta giudiziaria sulla gestione del mancato smaltimento dei fanghi nei depuratori di Napoli, che ha visto, tra l’altro, anche il coinvolgimento della Sma Campania (società in house della regione), chiama, sia pur indirettamente, molto da vicino quel celebre “apologo” del XIV secolo. Cercherò di essere più chiaro. Quanto descritto dal gip Vincenzo Caputo nella sua ordinanza di applicazione delle misure cautelari (tre persone sono finite in carcere, 14 ai domiciliari), apre un nuovo terribile squarcio sull’ignoranza dei nostri governanti. Fuor di metafora: la magistratura sta facendo il suo lavoro gettando piena luce sulla piaga mai sanata dell’inquinamento. Dall’altro, però, sta anche alimentando quelle che potrebbero essere considerate come legittime “pretese di verità” sulle condotte politiche e morali degli inquilini di palazzo Santa Lucia, a partire da quella strana nomina che nel 2016 indignò finanche il Pd campano. Accadde quando il presidente De Luca, in perfetto stile Manuale Cencelli, decise, tra lo stupore di maggioranza e opposizione, di consegnare la Sma Campania nelle mani di Lorenzo Di Domenico, uomo ritenuto molto vicino all’esponente di FdI Luciano Passariello. Proprio quest’ultimo indossò, allora, i panni di insolito “pontiere”, prima con la presidenza di una Commissione d’Inchiesta (guarda caso sulle società partecipate), poi con la consegna nelle mani del suo fedelissimo della più imponente società in house (in campo ambientale) della Regione. Due anni dopo (era il mese di marzo del 2018), Cassandra inascoltata, mi ritrovai, da ex parlamentare, ma prima ancora, da presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, a denunciare pubblicamente, lo stato di continua emergenza in cui si trovava la nostra regione, tra “denunce di appalti su misura, mala-politica e accordi con i clan” con nessuno, ormai, che si chiedeva più dove stessero andando a finire i fanghi della depurazione e che cosa mai stesse combinando la Sma Campania. Sottolineavo e ribadivo, in quella sede, che il mancato smaltimento dei fanghi, materiale ad alto contenuto di sostanze tossiche concentrate, si stesse trasformando in una vera e propria “bomba ecologica”. Suggerii pure, da biologo, la nomina di un esperto che avrebbe potuto proseguire, secondo i dettami dell’Epigenetica (scienza che studia il rapporto tra inquinamento e modificazioni del genoma umano), quell’opera di risanamento e di bonifica materiale (e morale) di cui si avvertiva fortemente il bisogno. Ahimè: i ripetuti richiami caddero nel vuoto. Evidentemente era scritto che dovesse prevalere la logica politico clientelare. Ed oggi eccoli qui, i fanghi dei depuratori di Napoli Nord, Marcianise, Succivo e Regi Lagni! Finiti, chissà perché, prima in mare (invece che in discarica) e poi sotto la lente d’ingrandimento dei giudici. Oggetto di in un’inchiesta in cui si ipotizzano reati gravissimi come corruzione, riciclaggio, inquinamento ambientale, emissione di fatture per operazioni inesistenti e trasferimento fraudolento di valori. Non una risposta è giunta, finora, dal governatore Vincenzo De Luca, né dal suo vice con delega all’Ambiente, Fulvio Bonavitacola, il cui nome pure riecheggia più volte nell’ordinanza del gip. Nessuno dei due sentì, nel 2018, il dovere di rispondere a chi, come il sottoscritto, chiedeva certezze sul funzionamento dei depuratori, sulle attività di prevenzione e mitigazione dei rischi ambientali svolte dalla Sma Campania. E nessuno ha sentito, oggi, di dover fare chiarezza sullo stato dell’arte di un’indagine che pure minaccia di scoperchiare per sempre il “palazzo”. Evidentemente la risposta doveva arrivarci dai giudici: Bonavitacola dice di non sapere nulla delle difficoltà finanziarie in cui versava Sma Campania, né delle questioni relative ai fanghi da smaltire. Eppure gli sarebbe bastato chiedere ai tecnici che gestivano gli impianti, come hanno fatto gli inquirenti, per scoprire che le linee di digestione anaerobica erano dismesse da anni e che nessuno si era mai prodigato per rimetterle in funzione, lasciando così quei fanghi al loro inerte e macabro “destino”. La scelta stessa di Di Domenico sembra suggerire una triste ipotesi: quella di trovarci di fronte all’Asino di Buridano, che ritiene valide entrambe le scelte: da un lato il mucchio di fieno delle strategie partitiche, dall’altro quello delle esigenze di efficacia e di efficienza dell’azione amministrativa. Un asino che pone sullo stesso piano il Manuale Cencelli ed il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione. Governatore aspettiamo risposte!!
*già parlamentare