“L’ULTIMO PARADISO”: UNA STORIA D’AMORE E DI POSSESSO

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di Mariantonietta Losanno 

Il film targato Netflix e Mediaset, diretto da Rocco Riacciardulli e interpretato, prodotto e sceneggiato da Riccardo Scamarcio è un’epopea contadina tra le ambientazioni lucane degli anni ‘50. Una vicenda che, come ha sottolineato il regista, prende spunto da una storia vera che deriva dai racconti di sua madre, che arrivano agli spettatori con la stessa intensità con la quale l’autore se li era immaginati quando era piccolo: “Mia madre le storie le sapeva raccontare. E io, insieme a mia sorella e i miei due fratelli più grandi, restavamo lì, a bocca aperta ad ascoltarla. Eravamo rapiti dai suoi racconti, dalla voce, con la quale magicamente trasformava quelle parole in immagini, dando vita a personaggi rimasti poi impressi nella mia mente”, descrive così le suggestioni d’infanzia che lo hanno ispirato per la realizzazione del film. Ed è proprio nelle campagne brulle della Murgia – al confine tra Puglia e Basilicata – che è stata girata la maggior parte delle scene, proprio dove Ricciardulli è nato e cresciuto. 

Quei fantasmi sepolti da tempo adesso rivivono nelle interpretazioni di Riccardo Scamarcio, Gaia Bermani Amaral, Antonio Gerardi e Valentina Cervi. 

%name “L’ULTIMO PARADISO”: UNA STORIA D’AMORE E DI POSSESSOCiccio vive con la moglie e il figlio, ma ha una storia clandestina con Bianca, figlia di uno dei proprietari terrieri più spietati. La tensione fra i due non tarderà ad esplodere e avrà, inevitabilmente, conseguenze estreme. Sfruttamento, amore e desiderio di libertà: “L’ultimo paradiso” mette in scena un sistema che trova gratificante opprimere le persone. Chi “non sa stare al suo posto” non sopravvive: vige il dominio assoluto del patriarcato e della proprietà, sia terriera che coniugale o paterna. Un sistema in cui ci si piega e si subisce, perché nonostante la voglia di ribellione sia forte, non sempre riesce a vincere. Solo il fratello di Ciccio, Antonio, è riuscito ad abbandonare la sua terra per andare a lavorare al Nord: basta far ritorno una sola volta nei suoi territori, però, per sentirsi di nuovo assoggettato dalle regole che comporta quello stile di vita. In questo contesto, dunque, come può inserirsi una storia d’amore? E, se anche riuscisse a nascere, quali possibilità ci sono che sopravviva ai dettami di un sistema omertoso dove i maschi hanno conservato l’istinto bestiale? “L’ultimo paradiso” si “trasforma”, allora, in una sorta di favola – per metà nera – in cui l’amore occupa un ruolo da protagonista: questo tocco di “magia” rende la pellicola più interessante ed efficace.

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Un’opera ambiziosa che non delude: la pellicola di Ricciardulli passa “dall’inferno al paradiso” mantenendo linearità e coerenza. Quella che poteva presentarsi come l’ennesima – e prevedibile – disamina delle ingiustizie che avvengono ogni giorno nel nostro Paese, si trasforma in un’inaspettata storia dal taglio visionario, che non rinuncia né all’aderenza al realismo (e al mostrare la crudezza delle violenze), né al lieto fine di un amore passionale che sfugge a qualsiasi controllo. C’è, dunque, un equilibrio che mantiene in piedi tutta la storia: ne viene fuori un ritratto realistico, suggestivo, che sceglie tematiche di rilievo (dal caporalato al patriarcato, dal riscatto sociale ai sogni di libertà), inserendo però una componente romantica che dà quel senso di “storia sospesa”. Forse si poteva osare di più, ma, nel complesso “L’ultimo paradiso” – a metà tra il dramma passionale e la rivendicazione sociale – si presenta come la rappresentazione di una ribellione in un mondo paradisiaco violato dai crimini di avidità dell’uomo.