– di Vincenzo D’Anna* –
Dopo il primo giro di consultazioni, il premier incaricato Mario Draghi ha portato a casa un brillante risultato. Tranne Giorgia Meloni, che però ha comunque offerto il sostegno di FdI a taluni provvedimenti legislativi oltre che la personale simpatia, tutti i leader politici ed i gruppi parlamentari hanno dato il “via libera” all’operazione nuovo governo. Un risultato inatteso a fronte di un consenso così largo da poter creare, addirittura, imbarazzo politico fino a tramutarsi in difficoltà di percorso (con tanto di rischio di veti incrociati). In ogni caso, il cambiamento di posizione politica più repentino, in questa fase, è stato quello mostrato dalla Lega di Matteo Salvini. Com’è noto, il “Truce” ha interpretato, per anni, il ruolo del sovranista intransigente, alleato della destra francese di Marie Le Pen e dell’ungherese Victor Orban, anch’essi contestatori della politica della Unione Europea ed in particolare di quella sull’immigrazione. Per anni il leader del Carroccio ed i citati alleati, hanno contestato la perdita di sovranità nazionale, puntando il dito contro la subalternità delle politiche economiche e migratorie dei singoli Paesi sottoposte ai vincoli ed alle decisioni imposte dal governo di Bruxelles. Una contestazione a tutto tondo come quella sulla globalizzazione economica e la perdita di autonomia decisionale dei popoli, espropriati dagli interessi economici delle multinazionali, delle banche e dei banchieri. Pur allentando i legami con gli alleati della destra del Vecchio Continente, in questi ultimi anni la Lega ha battuto indefessa i temi ed i programmi anti europei, marcando la propria diversità rispetto al Pd ed a Leu. In verità Salvini aveva già fatto una capriola spericolata allorquando si era votato ad un’intesa estemporanea con il M5S eleggendo Giuseppe Conte alla presidenza del consiglio dei ministri. Ora si è ripetuto con Mario Draghi, dicendosi europeista e non ponendo veti programmatici innanzi al cammino del più europeista degli europeisti in circolazione. Ancora una volta la repentina giravolta è stata agevolata da una legge elettorale proporzionale che, cancellando ogni vincolo con l’elettore, ha consentito ai partiti di fare un uso diverso del mandato ricevuto. Con un sistema maggioritario Salvini sarebbe stato vincolato dalla scelta pre-elettorale della coalizione, del primo ministro e del programma. Lo stesso dicasi per molti altri protagonisti della scena politica nostrana. Un ragionamento elementare, quello sul sistema elettorale, che ben evidenzia come in politica ogni male abbia una sua origine strutturale, ma che nessuno dei “voltagabbana” in campo sembra intenzionato a rimuovere. Da questo punto di vista nessuno può chiamarsi fuori dal trasformismo post elettorale se andiamo a rivisitare le posizioni assunte dai partiti in campagna elettorale, e come gli slogan e le promesse siano svanite nel tempo a vantaggio dell’opportunismo. Tuttavia quello del “Truce” è un doppio salto mortale in appena due anni. Salvini, infatti, è passato dall’intransigenza della campagna elettorale alla convergenza coi 5 Stelle, per poi tornare intransigente oppositore del governo, ed infine, udite udite, allineato addirittura con la sinistra che pure un tempo ebbe a definire come “quelli che mi vogliono in carcere”. Chiariamo. Qui non si tratta di dimenticare le carenze e le mancanze etiche e politiche della Prima Repubblica, né di mettersi a lodare i tempi che furono. Tuttavia, innanzi ad un simile caravanserraglio di trapezisti, un pizzico di nostalgia è quanto mai obbligatorio farselo venire, non trovate? Parliamoci chiaro: uscire da questa profonda crisi d’identità non sarà facile, né la rinascita della buona politica, quella fondata sui valori e sulla diversità di visione sociale, potrà venire da un governo guidato da un tecnico che ha più dimestichezza con le fredde leggi dell’economia che con quelle della politica. Certo da buon Keynesiano Mario Draghi non farà mancare gli investimenti miliardari degli interventi statali nei più disparati ambiti nazionali, ma difficilmente abbandonerà la logica dei numeri in bilancio per far posto a quella dei bisogni sociali. Ecco perché alla fine sembrano esagerati i consensi entusiastici verso il presidente del consiglio incaricato. Conoscendo di Draghi, sia per i pregressi meriti che per i limiti, molti stanno sbagliando i conti. Forse si illudono di poter fare i furbi in un frangente nel quale vivono un’oggettiva condizione di debolezza, frutto dell’insufficienza della propria rappresentanza parlamentare. Salvini e Di Maio hanno richiamato entrambi il tempo della solidarietà nazionale del primo dopoguerra e l’obbligo di collaborare a prescindere da ogni altra considerazione. Mancano però all’appello De Gasperi, Sturzo, Einaudi, Nenni, Togliatti, La Malfa, Saragat, Moro. Oggi, purtroppo, in loro vece pare ci sia solo l’ex Truce Matteo Salvini in sovrannumero!!!
*già parlamentare