La crisi si prolungava ormai da decenni. Da un anno è stata ingigantita dalla lente d’ingrandimento della pandemia, che ha accentuato tutti i problemi accumulatisi nel tempo. La democrazia parlamentare è stata progressivamente rimpicciolita. Il Parlamento è stato svuotato con la decretazione d’urgenza, il ricorso sistematico al voto di fiducia e infine anche con la riduzione del numero dei parlamentari. Con la pandemia i decreti hanno assunto una forma ancora più straordinaria. L’alfa e l’omega della politica è dentro il Governo. La scomparsa della dialettica storica fra destra e sinistra ha reso il Principe illeggibile. Un’indecifrabilità resa più evidente dalla crisi di governo, che è una crisi-non crisi, una condizione di stabile instabilità. Non c’è niente di compiutamente leggibile, che è il massimo della crisi della democrazia.
– Quando la democrazia smette di funzionare, si apre la strada a tentazioni autoritarie.
Ci sono due forme diverse di autoritarismo, che sono il prodotto della crisi della società. Una crisi di consenso. Le società contemporanee, in Europa come negli Stati Uniti, come si è visto con il fenomeno Trump, hanno progressivamente smarrito quella che era stata la loro caratteristica negli anni più gloriosi, ovvero la capacità di creare consenso anche nella dialettica più aspra. Un consenso che si è, non a caso, consolidato in epoche segnate dalla riduzione tendenziale delle disuguaglianze. Al contrario, negli anni successivi, le disuguaglianze sono via via esplose e la pandemia le ha rese ancora più drammaticamente evidenti. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi non ha precedenti nella storia della Repubblica. E, come disperato contraltare, si sono aggravate le povertà.
– Gli autoritarismi diventano una perversa via d’uscita?
La prima tentazione è quella che ha portato alla ribalta Donald Trump: un populismo di destra che pesca nel disagio, che ho descritto e gli fornisce una risposta reazionaria. Il Capo attacca i diversi, le minoranze e tutto quello che non rientra nella sua visione del mondo. L’altra tentazione è più soft. Un autoritarismo meno volgare, quello della tecnocrazia, dove la tecnica prende progressivamente il posto occupato dalla politica-
– Passiamo alla crisi della sinistra. A me sembra in preda a una crisi d’identità che rischia di essere irreversibile
In questi giorni si sono ricordati e celebrati i cento anni dalla nascita del Partito Comunista italiano. Un’occasione perfetta per riflettere sullo stato della sinistra. E su una storia intera, la storia del Novecento, la storia del primato della politica, in cui la sinistra ha, da Oriente a Occidente e nelle forme più diverse, lanciato la scalata al cielo, l’idea di superare la società capitalistica e di costruire un mondo di liberi e uguali. Un’epoca formidabile di conquiste a livello dei diritti e dello diritti e dello stato sociale. L’assalto al cielo finisce con una sconfitta. La sinistra, anziché ribellarsi, subisce, ed è una responsabilità che consegna alla storia, una sorta di mutazione genetica. Smette di essere la rappresentante di una parte della società, per diventare una forza sostanzialmente liberale e perdere, conseguentemente, se stessa e il suo popolo.
– Sembra uno scenario senza luci e speranza.
Sono un ex comunista. Eppure debbo dirle che le uniche parole di speranza non vengono dal campo della politica, ma da una grande cattedra religiosa. Da Papa Francesco. Nell’ultima sua enciclica, e speriamo che non sia l’ultima, ha avuto la forza di guardare criticamente a questa società intollerabile. Lanciando una speranza e indicando una strada, come ha ripetuto splendidamente anche nel suo discorso ad Assisi, quando ha detto che non siamo condannati a d accettare una società del massimo profitto. Le parole di speranza del Papa non riguardano solo i fedeli, ma l’intera umanità.
– Che cosa l’ha più fatta arrabbiare in questo ultimo periodo?
Tutto mi fa arrabbiare. Era più facile risponderle, se mi chiedeva che cosa non mi fa arrabbiare. Ebbene, non mi fanno arrabbiare i movimenti che crescono nella società, come dei grandi imprevisti, negli Stati Uniti, in Francia e in Algeria e altrove. Potremmo chiamarle rivolte, anche se sono pacifiche e nonviolente. Sono le uniche cose, che non mi fanno arrabbiare.
– Si è arrabbiato anche quando hanno paragonato alcune sue scelte passate a quelle recentissime di Matteo Renzi?
No, perché il paragone è solo frutto dell’ignoranza.
– Siete molti diversi?
Chiunque non sia totalmente ignorante sulla storia del nostro Paese, lo sa bene.