Agricoltura ed uso dei droni. Tra novità e questioni aperte

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di Filippo Moreschi, avvocato e socio AIDR

Nella terminologia normativa europea, i droni – detti anche APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto) – sono compresi nel gruppo degli aeromobili “senza equipaggio” (UAS – unmanned aircraft system).
Anche il Codice della Navigazione italiano li colloca all’interno della nozione di aeromobile (art. 743) e li definisce “mezzi aerei a pilotaggio remoto”.
I droni consentono flessibilità di impiego e velocità di intervento, una sempre più elevata risoluzione e precisione, un’ampia disponibilità di rilevazioni e dati ottenuti attraverso sensori, camere multispettrali, camere termiche, GPS e magnetometri.
Da qualche anno l’uso dei droni ha preso piede anche nel settore agricolo, in due distinte modalità applicative.
La prima, più diffusa, è l’attività di monitoraggio.
Essa si articola in più momenti:

  1. i) in una fase diagnostica preventiva (valutazione della capacità del terreno e delle sue aree critiche, controllo delle zone incolte e boschive);
  2. ii) nell’osservazione in tempo reale dello stato di salute della coltura e nella prevenzione delle criticità e delle malattie;
  3. iii) nella conseguente capacità per l’agricoltore di programmare quantità e tempistiche di interventi di precisione (irrigazione, azione fitosanitaria), in base ai reali bisogni della singola porzione di campo evitando interventi massivi, uniformi e generalizzati.
    Ne deriva un risparmio di tempo, di lavoro e di macchine, ma soprattutto un minore impatto ambientale legato al mirato utilizzo dei prodotti fitosanitari e della risorsa idrica.

La seconda modalità d’uso è la possibilità per il drone di svolgere dei compiti sul campo, come avviene nell’ambito della lotta biologica ai parassiti delle piante (ad esempio la piralide del mais) oppure in tema di trattamenti fitosanitari.
Su tale ultimo aspetto va ricordato che l’irrorazione aerea è ad oggi vietata, come prescritto dall’art. 13 del D. Lgs. 150/2012 (“attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi”). Il divieto prevede limitate e circostanziate deroghe, rilasciate dalle Regioni o dalle Province autonome. Il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN), adottato con Decreto Interministeriale 22/01/2014, proibisce espressamente l’irrorazione aerea in aree giudicate sensibili quali, tra le altre, gli allevamenti di bestiame, di api, di pesci e molluschi ed i terreni ove si pratica l’agricoltura biologica o biodinamica. L’interpretazione di tali deroghe, nel corso degli anni, è stata piuttosto stringente e limitata, per lo più, all’utilizzo di elicotteri per la distribuzione dei prodotti fitosanitari.
La bozza di revisione del Piano, pubblicata sul sito del Mipaaf ed in corso di approvazione, ribadisce il divieto di uso dei droni per i trattamenti fitosanitari (punto A.3.10). Nel contempo, tuttavia, essa apre alla sperimentazione, alla luce della risoluzione del Parlamento europeo del 12/02/2019, che riconosce le potenzialità legate all’impiego della tecnologia intelligente e dell’agricoltura di precisione per gestire meglio i prodotti fitosanitari.

Il volo dei droni civili soggiace ad una normativa complessa, ove si intersecano disposizioni europee e nazionali. L’inclusione dei droni nel più ampio gruppo degli aeromobili determina la competenza di ENAC – Ente Nazionale Aviazione Civile che, con i propri regolamenti, individua le categorie di droni, le tipologie di operazioni e stabilisce le condizioni di sicurezza del volo (security).
In sede europea, il Reg. 1139/2018 UE ha posto al vertice del sistema l’EASA – Agenzia dell’Unione Europea per la sicurezza aerea, individuandone i compiti e dettando le norme comuni per l’aviazione civile. Il Regolamento della Commissione n. 945/2019 regola gli standards di sicurezza tecnica dei droni (safety). Il successivo Reg. della Commissione n. 947/2019, in vigore dal 31/12/2020, disciplina la registrazione, le limitazioni operative e le regole applicabili agli operatori ed ai piloti, e va a sostituire ed uniformare le disposizioni nazionali, subentrando, sul punto, ai relativi regolamenti ENAC.
Il regolamento europeo da ultimo citato fissa quale limite generale per il volo “a vista” dei droni fino a 25 kg l’altezza massima di 120 metri dal punto più vicino della superficie terrestre (Allegato al Reg., parte A, Disposizioni generali, n. 2).
Tale norma è derogabile soprattutto in difetto, in presenza di particolari condizioni del suolo o del terreno o di aree destinate ad operazioni di volo di altri aeromobili, o densamente popolate o comunque specificamente individuate.
In Italia, la piattaforma D-Flight eroga i servizi per la gestione del traffico aereo a bassa quota di aeromobili a pilotaggio remoto. Attraverso la collaborazione con ENAC, D-Flight è un portale che mette a disposizione degli utenti la registrazione dei droni nella banca dati italiana e l’assegnazione del codice univoco di identificazione, nonché il reperimento delle informazioni utili per volare con i droni in sicurezza in conformità alle normative vigenti.
Le mappe disponibili su D-Flight illustrano le limitazioni all’altezza ed all’uso dei droni su tutto il territorio nazionale, indicando, in particolare modo, le aree vietate o dove il limite è inferiore a quello generale di 120 mt.
Vale la pena sottolineare che tra le aree in cui vige il divieto di utilizzo dei droni (limite metri 0 sul livello del suolo) sono compresi i parchi naturali e le zone soggette a protezione faunistica. Si tratta di territori sui quali norme nazionali o disposizioni regionali proibiscono il sorvolo.
La misura, se da un lato è comprensibile, dall’altro può concretamente rappresentare un freno al grande supporto tecnologico che i droni possono dare in queste zone, soprattutto in considerazione della difficoltà di fare agricoltura in luoghi di alto valore paesaggistico e, spesso, di speciale particolarità orografica.
Il recente decreto Mipaaf del 30/06/2020 ha finalmente dato attuazione alla previsione del Testo Unico del Vino che prevede la valorizzazione dei vigneti eroici e storici. I vigneti eroici, in particolare, sono definiti “i vigneti … situati in aree ove le condizioni orografiche creano impedimenti alla meccanizzazione o aventi particolare pregio paesaggistico o ambientale, nonché i vigneti situati nelle piccole isole” (art. 2 decreto).
Si può capire come, soprattutto in queste zone, l’uso del drone possa contribuire alla salvaguardia ed alla sopravvivenza di una viticoltura condotta in condizioni estreme, supportando concretamente il lavoro dell’uomo.
E tuttavia, molti dei vigneti c.d. eroici si trovano in aree qualificate come riserve naturali o parchi nazionali, dove il volo dei droni è vietato. È il caso per esempio delle Cinque Terre, dove si produce un famoso vino a Denominazione di Origine Controllata.
È dunque auspicabile che, in futuro, nel doveroso rispetto dell’ambiente, ed anzi proprio in funzione dei principi di sostenibilità e di risparmio di risorse che l’utilizzo dei droni può rappresentare, sia data la possibilità di utilizzare tali strumenti anche in queste zone pregiate. I droni infatti, qui più che altrove, possono dare un aiuto prezioso agli agricoltori e consentire la preservazione di un inestimabile patrimonio di conoscenze, esperienze e tradizioni produttive.