– di Giancarlo Bedini –
Tra le voci politiche di condanna “a caldo” dell’assalto a Capitol Hill di ieri sera, ne comparivano alcune che riproponevano il legame diretto tra quelle manifestazioni eversive del populismo e il dilatarsi recente delle disuguaglianze in USA, che avrebbe portato il “popolo” a forme di ribellione dalle estreme ed esecrabili conseguenze.
Quel tipo di commento, soprattutto se fatto a caldo e nell’ambito di un’espressione di condanna, è profondamente sbagliato perché indebolisce la critica al populismo ed in particolare per i seguenti motivi:
- esso fa trasparire, anche involontariamente, una qualche forma, “basica”, di giustificazione morale;
- tende a creare un rapporto deterministico tra le condizioni materiali e le convinzioni culturali e politiche;
- individua nei manifestanti il “popolo”, senza un’adeguata analisi di quali strati sociali vi erano rappresentati e senza considerare che c’è un “popolo”, anche superiore di numero, che sta dall’altra parte;
- riunisce in un fronte unico i danneggiati dall’aumento delle disuguaglianze non considerando che esso ha colpito e colpisce in modo differente, differenti strati della popolazione (per esempio chi si è impoverito e chi semplicemente non si è arricchito).
Ma il commento è sbagliato soprattutto perché i due lati del discorso, vanno tenuti rigorosamente separati ed autonomi, nella sostanza e anche nel tempo. C’è un momento per condannare il populismo autoritario e un momento per condannare e combattere le disuguaglianze. Il primo va criticato a fondo per la sua natura culturale e politica intrinseca e non perché è una risposta sbagliata alle ingiustizie. Dopo aver fatto questo e in altra sede si potranno e dovranno mettere a fuoco i rapporti tra il disagio sociale e l’emergere di un tale degrado culturale politico (dando per scontato che tali rapporti effettivamente ci sono).